Markel ha perso ma non rinuncia

Angela Merkel sta per festeggiare il settimo anno alla Cancelleria, e mostra qualche segno di stanchezza, scrivono i giornali tedeschi. In Germania non si attendevano che «Madame Non», il soprannome che si è conquistato ai vertici internazionali, si mostrasse così arrendevole nei confronti dei “peccatori dell’euro”, il nostro Monti, lo spagnolo Rajoy e il francese Hollande.

«Die Nacht in der die Merkel verlor», la notte in cui la Merkel perse, scrive «Der Spiegel», per la prima volta i tedeschi vedono la loro Cancelliera sconfitta. Tutto non sarà più come prima, per lei, per loro, e per gli europei. E´ stato il premier italiano Mario Monti, con «durezza e finezza», continua il più autorevole settimanale tedesco, a mettere nell’angolo la signora.

«E´stata una vittoria, abbiamo salvato l’euro», ha proclamato la Cancelliera che, da brava pragmatica, è sempre pronta ad accettare il risultato, anche se sfavorevole, ed è molto abile nel presentare la situazione in modo a lei favorevole. Ma tutti i commentatori la vedono come perdente, e, tornata a casa, la signora ha dovuto affrontare dure critiche anche all’interno del suo partito, e dagli alleati liberali. Il suo cedimento, accusano, metterebbe in pericolo la stabilità interna della Germania, difesa dalla stessa Costituzione.

In passato la Merkel aveva dovuto incassare qualche smacco, come nel caso dell’elezione di un presidente della Repubblica non gradito, o è stata costretta ad ammettere d’aver sbagliato, come per l’energia nucleare. Aveva appena prolungato la vita delle centrali atomiche, quando è giunta la catastrofe giapponese e lei ha fatto marcia indietro, decidendone la chiusura immediata. Questo finora era piaciuto ai tedeschi che apprezzavano la sua franchezza, e che continuavano ad accordarle un alto gradimento, sia pure inferiore a quello dei primi tempi. Ma i soldi sono un tema delicato. Perfino i verdi o i Piraten, i “grillini” teutonici, sono contrari a buttare gli euro dei risparmiatori tedeschi per aiutare le cicale latine. E ora lo smacco di Bruxelles ha provocato una delusione paragonabile a quella della sconfitta inflitta dagli azzurri ai campionati europei di calcio. «Bisogna avere paura per i nostri libretti di risparmio?», si chiede in prima pagina la «Frankfurter Allgemeine». L’anno che manca alle elezioni in Germania sarà più duro del previsto per la Merkel, ma si sbagliano quanti prevedono che perderà le elezioni.

Se si votasse domani, probabilmente sarebbe ancora lei a occupare la Cancelleria, pur guidando una Grosse Koalition insieme con i socialdemocratici, come nel 2005. La signora è sconfitta, ma i suoi avversari non sono in grado di infliggere il colpo di grazia, né lo vogliono. Che cosa farebbero al suo posto? La signora si è indebolita ma è ancora la più forte. Forse, Frau Angela non ha tutti i torti. Si è mostrata ragionevole, ma non si è arresa. Ha ceduto alcune posizioni, e ha tenuto duro sugli eurobond. Noi abbiamo la tendenza a personalizzare, a trasformare la signora nell’unica colpevole, dimenticando che la crisi non è stata provocata dalla sua Germania, ma dall’America di Obama che, ora, con incredibile faccia tosta si atteggia a maestro e rimprovera gli inconcludenti europei. Nessun politico tedesco potrebbe concedere quanto si pretende a Bruxelles, concedere miliardi senza aver nessun controllo. Per chiunque sarebbe un suicidio. Quasi l’80 per cento dei tedeschi approva la sua linea intransigente, quindi anche quanti non votano per lei. E non può imporre la sua volontà a Berlino. Dimentichiamo anche che la Germania è uno Stato federale, e il Bund, la federazione appunto, non può trascurare i diritti dei singoli Länder, le regioni. E alcune, come la Baviera o il Baden-Würrtemberg, vantano un Pil superiore a quello di un’Olanda o di un Belgio messi insieme. Il Bundesrat, la Camera dei rappresentanti regionali, ha diritto di veto su tutte le decisioni centrali che abbiano conseguenze locali, in pratica su quasi tutte.

Nei giorni precedenti lo storico vertice del 28 giugno, il presidente della Repubblica Joachim Gauck non ha voluto firmare il patto fiscale, e la parola è passata alla Corte costituzionale. Il via libera ha richiesto un procedimento complesso. La Cancelliera ha tenuto un discorso passionale al Bundestag, per difendere il suo operato a Bruxelles, e per fare approvare le sue misure. Si è piegata innanzi ai peccatori d’Europa, italiani e spagnoli, commenta «Focus». E questo non piace a nessuno. «Hai salvato l’euro dei milionari», le hanno gridato dai banchi dell’opposizione. Ieri non c’erano i soldi per aiutare i disoccupati, e oggi si trovano i miliardi per le banche, denuncia Oskar Lafontaine, il leader della Linke, il partito dell’estrema sinistra, che ha annunciato di voler ricorrere ancora una volta alla Corte costituzionale di Karlsruhe contro le decisioni della Cancelliera. E in tutto sono almeno una ventina i ricorsi contro le decisioni prese a Berlino. Lo stesso ministro delle Finanze, Schauble, ha ammesso che forse bisognerebbe indire un referendum popolare per decidere le sorti dell’euro, procedura che non è prevista se non a livello regionale. Ormai è necessaria una riforma della Costituzione per andare avanti sulla strada indicata a Bruxelles, ma, come in Italia, occorre una maggioranza di due terzi al Bundestag. I tedeschi sanno che non c’è alternativa. Nei sondaggi d’opinione rimpiangono il loro Deutsche Mark. In realtà sanno che non si può tornare indietro. La nostalgia non è in contraddizione con il realismo.

Roberto GIARDINA

 



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