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De Chirico e l'apocalisse
Un avvenimento inconsueto: nessuna ricorrenza di nascita o di morte, eppure due città italiane, Aosta e Chieti, dedicano importanti mostre a Giorgio de Chirico, il Maestro della metafisica. E se la rassegna nella Vallée consente di ammirare da vicino capolavori talora raramente esposti o provenienti da collezioni private, quella abruzzese si sofferma sulla tematica religiosa, sinora poco indagata. Giorgio de Chirico nasce il 10 luglio 1888 a Volos, capoluogo della Tessaglia (Grecia). È il secondogenito di tre figli di un ingegnere ferroviario e di una nobildonna genovese. Dopo la morte della sorella maggiore Adelaide, lui e il fratello Andrea (che assumerà lo pseudonimo di Alberto Savinio) si cimentano nell’arte. Giorgio studia al Politecnico di Atene e a Firenze, poi si reca a Monaco di Baviera, dove è attratto da Arnold Böcklin e dai simbolisti tedeschi. Nel 1910, è a Milano, Firenze e Torino. L’anno dopo raggiunge il fratello a Parigi, dove dipinge le prime «piazze d’Italia» ed è apprezzato da Picasso. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, i due fratelli si arruolano come volontari e sono mandati a Ferrara. Lì frequenta Filippo De Pisis e Carlo Carrà. Negli anni 1935-1936 è negli Stati Uniti, dove conosce Isabella Pakszwer (poi, Far), che sarà sua seconda moglie (1946) e gli resterà sempre vicina. Nel 1947 si stabilisce definitivamente a Roma, in piazza di Spagna. Dipinge autoritratti in costume barocco, traduce in scultura soggetti metafisici e barocchi, si dedica alla litografia. Nel 1974 è insignito del titolo di Accademico di Francia. Il suo 90° compleanno è festeggiato in Campidoglio. Muore pochi mesi dopo, il 20 novembre 1978. Ebbene, nella mostra «Giorgio de Chirico. Il labirinto di sogni e di idee», ad Aosta, sono esposti 40 dipinti, 10 tempere e disegni, 15 grafiche, che ripercorrono le fasi stilistiche dell’artista. Come osserva il curatore Luigi Cavallo, de Chirico «è il pittore più nuovo del vecchio mondo. Gettare uno sguardo sulla sua opera significa ripercorrere le avventure creative del XX secolo, fondamenta e confronti per il nostro tempo». Inoltre, «le sue visioni utopiche hanno stimolato l’architettura, e le sue atmosfere indefinite, arcane, il senso del tempo sospeso, dell’infinito che cala anche sulle cose quotidiane hanno influenzato la narrativa moderna. De Chirico ha trattato con la pittura temi e argomenti che riguardano i più svariati ambiti culturali e la prospettiva è quanto mai feconda: da qui il desiderio di rinnovare l’accostamento critico di un autore che rappresenta la nostra epoca, permette di attualizzare figurativamente il passato, consente all’uomo di rinnovarsi, di avventurarsi nel futuro sentendosi radicato in una vicenda secolare». Considerazioni simili e nello stesso tempo diverse emergono dalla mostra «De Chirico. L’apocalisse e la luce», in corso a Chieti. Del capolavoro grafico dedicato all’Apocalisse, sono in mostra le 20 litografie realizzate nel 1940 e le 22 acquerellate a mano per l’edizione del 1977. La prima serie, apparentemente trascurabile (e dalla critica, infatti, trascurata), porta invece un’innovazione iconografica profonda. La curatrice Elena Pontiggia annota, infatti, che «le visionarie pagine giovannee, abitate da mostri e draghi, oscurate dalle tenebre dell’Anticristo e percorse dai flagelli orrendi dei Quattro Cavalieri, diventano in de Chirico un racconto fiabesco, insieme spontaneo e colto, soffuso in certi punti di un evangelico spirito d’infanzia, in altri di solenni accenti classici». De Chirico stesso aveva confidato: «In quella grande e strana casa che è l’Apocalisse, io sogno, incuriosito e felice, come il fanciullo, tra i suoi balocchi, nella notte di Natale». La tavola con la venuta finale di Cristo, per esempio, più che un momento drammatico sembra (e per molti teologi sarà) un raduno di amici per l’atteso ritorno di una persona cara. Annota ancora la Pontiggia: «Nessuno si inginocchia, nessuno ha paura, nessuno trema. Tutti sono venuti all’appuntamento così com’erano: il bambino col suo giocattolo, la lavandaia con la cesta di vimini a tracolla, (…) la coppia di innamorati stretta in un abbraccio, il cane senza guinzaglio. La composizione ha quella assurdità plausibile, quella naturalezza soprannaturale che si trova solo nelle pagine dei mistici o dei poeti». Per mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, «probabilmente senza averne piena consapevolezza, data anche l’interpretazione corrente ai suoi tempi, de Chirico ha compreso che quel libro ispirato narra di una liturgia cosmica, che mira a rassicurare la Chiesa nascente, provata ormai dalle persecuzioni, della vicinanza fedele e vittoriosa del suo Signore. Una teologia della speranza sotto forma di teologia della storia: tale è in realtà l’Apocalisse, e tale la raffigura il genio dell’artista, quasi stemperando il dramma col sorriso diffuso di chi sa di una finale vittoria». Accanto a queste litografie, una dozzina di dipinti, tra i quali il «Buon samaritano» (1939), il «Gesù divino lavoratore» (1951), la «Annunciazione» (1954). Il culmine è, però, «La salita al Calvario», monumentale tela del 1947, che l’artista ha conservato per anni nella sua abitazione e che è stata prestata dalla chiesa di San Francesco a Ripa, in Trastevere, dove c’è appunto la tomba di de Chirico (che, per inciso, è stato grande benefattore dei frati minori). La mostra «Giorgio de Chirico. Il labirinto dei sogni e delle idee» è allestita nel Centro Saint-Bénin (via Festaz 27) ad Aosta, sino al 30 settembre. Orario: tutti i giorni, 9.30-12.30 e 14.30-18.30. Per informazioni, tel.0165-272687. La mostra «De Chirico. L’apocalisse e la luce», è aperta nel Museo Palazzo de’ Mayo, Fondazione Carichieti (corso Marrucino 121) a Chieti, sino al 15 luglio. Orario: da martedì a domenica 19-23; lunedì chiuso. Per informazioni, tel. 0871.568206 o 0871.359801.
Michele Gota
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