Uno Stato per l'euro

 

Quale è il male profondo che minaccia la moneta unica e la stessa sopravvivenza dell’Unione europea? Io penso che abbia ragione chi, come Antonio Puri Purini su «Il Corriere della Sera», ha scritto in questi giorni: «Mentre i mercati aggrediscono l’euro come un torrente in piena, le classi dirigenti assomigliano all’oligarchia veneziana alla vigilia della scomparsa della gloriosa repubblica, per volontà di Napoleone, nel 1797. Allora come oggi trionfano l’opportunismo, la furbizia, l’attesa, la sottovalutazione del pericolo. L’inettitudine della politica nel banalizzare la gravità della situazione diffonde angoscia anche presso la gente comune…».

Si dirà, questa crisi del capitalismo selvaggio non era prevedibile. Eppure uno dei più acuti osservatori delle vicende politiche, Luca Caracciolo, diversi anni fa, nel corso di un «dialogo intorno all’Europa» con Enrico Letta, esponente della nuova generazione cattolico-democratica e fervente sostenitore dell’euro, affermava: «Dopo l’euro o andiamo avanti nell’integrazione politica e diamo uno Stato alla moneta, oppure torniamo indietro. Perchè nel breve periodo una moneta senza Stato rischia di fallire. Non potrà certo essere la Banca centrale europea a surrogare un centro di decisione politica cui fare riferimento per la gestione della moneta».

In quella fase della politica europea, all’inizio del nuovo secolo, nelle istituzioni europee si stava svolgendo un decisivo confronto tra i sostenitori del modello federalista, che consideravano la moneta unica il punto di forza del mercato unico e l’avanguardia di un processo storico che avrebbe portato all’unione politica, e i difensori della sovranità nazionale, di un mito ormai logorato dalla globalizzazione. L’urgenza dell’allargamento dell’Unione europea ai paesi dell’ex Patto di Varsavia, aveva spinto il Vertice di Nizza a frenare sull’«approfondimento» (cioè sulla costituzione europea) e ad accelerare sull’«allargamento».

Ora è chiaro che in quella circostanza è stato commesso un errore strategico. L’allargamento dell’Ue a Paesi che avevano riconquistato da poco l’indipendenza da Mosca ha infatti rafforzato le tendenze “sovraniste” di governi che avrebbero dovuto trasferire a Bruxelles parti della sovranità appena riconquistata. E così il progetto di trattato costituente dell’Europa “unita nelle diversità”, di un trattato che avrebbe dovuto trasferire una quota di sovranità dai diversi Stati nazionali alle istituzioni comunitarie, cioè al Parlamento di Strasburgo e alla Commissione europea, prima è stato rallentato e poi affossato dai referendum francese e olandese; due referendum caratterizzati dalla convergenza nel voto delle sinistre che chiedevano un’Europa “più sociale” e delle destre comunque contrarie all’integrazione europea.

E’ in quella stagione che, a conclusione dell’esperienza di parlamentare europeo (2004), ho scritto l’«Europa impossibile», per mettere in evidenza le ragioni del declino del federalismo e l’emergere di una generazione che non appare più innamorata dell’ideale europeo, che non crede più alla rivoluzione federalista cui si sono ispirate per mezzo secolo il modello di democrazia, di solidarietà e di pace dell’Europa. Quando, poco tempo dopo, il Trattato di Lisbona ha rilanciato il dibattito sulla costituzione europea, in realtà il baricentro del trattato costituente è stato spostato a favore del vertice dei governi nazionali. Una vittoria dei conservatori britannici, degli euroscettici, dei sovranisti, che ha rafforzato il ruolo della Grande Germania e ha fatto emergere la centralità di Berlino.

L’idea dell’Unione “politica”, del modello comunitario, ha fatto pesantemente i conti con quella decisione; e appare paradossale che proprio Angela Merkel, il cancelliere della Repubblica federale, rivendichi ora la guida del progetto federalista ma nel momento si opponga alle proposte (anche del governo Monti) di camminare subito in direzione dell’Europa politica, con il “fondo salva Stati” e il “meccanismo economico di stabilità”, per difendere efficacemente l’euro dagli attacchi della speculazione internazionale. Eppure la Germania non ignora che difendendo l’euro e difendendo i Paesi più esposti alla crisi, difende anche se stessa, la sua economia e la sua centralità in un’Europa che conta meno dell’8 per cento della popolazione del mondo.

In realtà, e siamo alle radici di un problema troppo spesso ignorato, l’intreccio delle vicende che abbiamo appena sfiorato ha favorito la dissoluzione delle “famiglie politiche” (democristiane, socialiste, liberali) che hanno dato vita all’ideale federalista sin dagli anni della “resistenza europea” al nazismo, e hanno allargato i confini della Piccola Europa di Adenauer, De Gasperi e Schuman, negli anni in cui il mondo era dominato del bipolarismo Usa/Urss. La dissoluzione delle famiglie europeiste e l’assenza di leadership confrontabili con quelle dei padri fondatori della Comunità europea, quasi tutti aderenti alla famiglia democristiana, ha molto a che fare con il declino della stessa idea dell’Europa politica. E questo declino ha favorito il riflusso di una parte importante delle popolazioni, anche in Paesi di antica tradizione europeista, verso le tendenze nazionaliste, proprio nel momento in cui, con la mondializzazione dei mercati, stava diventando più importante la costruzione di un soggetto politico forte, in grado di confrontarsi con gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e il Brasile.

La crisi economica e finanziaria che l’Europa e l’Occidente stanno attraversando dal crack finanziario del 2007 dimostra che se l’Europa non riscopre la sua anima democratica e non sa fare i conti con la sua storia, se pensa di competere con il resto del mondo solo in forza della sua economia, non potrà non arrendersi ai diktat dei mercati e dissolversi. E per l’Italia sarebbe un disastro, da cui non lo salverebbero certamente il populismo e il fantasma del nazionalismo.  Il voto della Grecia, che è stato un referendum a favore dell’euro, tiene aperto il dibattito e dovrebbe dare al Consiglio europeo di fine mese la forza per invertire la rotta, per resistere agli attacchi speculativi contro la moneta unica e per rilanciare con forza il progetto dell’Europa politica.

Guido Bodrato



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