Devis e la vita nuova

 

Devis non ha l’ambizione di diventare un guru né di creare un mito intorno a sé. Eppure da un po’ di tempo i media si stanno interessando a questo ragazzo di Raveo, paesino della Carnia in provincia di Udine, che dal 2003 ha deciso di cambiare vita e di dare le sue braccia alla campagna. Della sua avventura adesso ne ha fatto un libro, «Pecoranera. Un ragazzo che ha scelto di vivere nella natura» (Marsilio, pp. 208, euro 15,50), nato su richiesta della casa editrice che ha visto nella sua esperienza un paradigma nuovo, soprattutto una vicenda vissuta intensamente, con tanto sudore e spirito di ricerca.

Perché l’ex perito informatico, assunto a tempo indeterminato da un’azienda poco dopo il diploma, non ha resistito a una voce interiore che lo stuzzicava fin dalle superiori. Il richiamo era la terra, quella del suo paese, agglomerato di 400 anime afflitto dalla crisi demografica, in cui è il bosco a farla sempre più da padrone sui campi coltivati.

Fin da studente Devis Bonanni decide di approfondire quel richiamo, prima stuzzicato da un articolo comparso su «Focus», in cui apprende in teoria come condurre un’azienda agricola, poi mettendoci il naso, ovvero frequentando l’ecovillaggio di Bagnaia, in Toscana. È sotto il cielo senese che capisce di voler sperimentare ex novo qualcosa di suo, nella sua terra. Un desiderio che in famiglia si fatica a comprendere: con un padre esperto di edilizia e una madre insegnante di lettere, non è stato facile capire il perché di questo desiderio quasi da incoscienti. E gli scontri non sono mancati, anche con la volitiva nonna, che vedeva nell’impiego nel settore informatico la chiave di un futuro felice.

Devis, quando è scattata la scintilla che ti ha fatto diventare un contadino?

Fatico ancora adesso a definirmi così, perché per me un contadino lavora in un’azienda agricola, possibilmente sua, e questa non è la mia situazione né la mia ambizione. Però la pulsione per la terra risale fin dalle superiori, anche se ero totalmente inesperto. Al massimo sapevo fare capanni nei boschi, ma non avevo idea di cosa significasse coltivare. Mi affascinava però l’idea di produrre il mio cibo. Così ho deciso di iniziare a lavorare un piccolo pezzo di terra della mia famiglia. Sono solo 1.500 metri quadri, quanto basta per piantarci una serra e iniziare a fare un orto per le esigenze famigliari.

Eri ancora impiegato come tecnico informatico?

Ho iniziato a seguire la terra mentre andavo al lavoro a Udine. Facevo 60 chilometri per recarmi al lavoro, quindi dedicavo soprattutto il fine settimana alla campagna. Poi però le cose si sono evolute e mi sono trovato a lavorare anche all’alba e al rientro dal lavoro. Oltre a pomodori e fagioli ho cominciato a produrre patate, a seminare un tipo di mais locale. Ho persino tentato la strada dell’allevamento di animali, ma con la perdita di una pecora ho cambiato idea. Sono andato avanti così per 5 anni, finché ho deciso che dovevo scegliere. E visto che non mi concedevano il part time, mi sono licenziato.

Una scelta radicale che ti è pesata?

Ho deciso in piena consapevolezza, anche se adesso alcuni obiettivi che volevo raggiungere si sono ridimensionati. Allora pensavo di poter vivere di agricoltura e miravo ad avere un’azienda mia. Adesso invece capisco quanto sia difficile vivere solo del lavoro dei campi e quanto ci sia bisogno nella vita di ampliare le proprie esperienze. Ma resta fermo un punto: voglio continuare a produrre il cibo per me, la mia famiglia, gli amici e vendere un po’ dei miei prodotti. L’autosufficienza alimentare è un aspetto centrale della mia vita e desidero che resti il fulcro del mio lavoro.

Puoi fare un bilancio di questi dieci anni?

Mi sento ancora in un percorso di cambiamento. Il progetto Pecoranera fin dall’inizio era pensato come un’iniziativa per coltivare la terra insieme ad altre persone. Sulla scia della mia esperienza nell’ecovillaggio di Bagnaia, ho sempre creduto che condividere avrebbe dato maggiore significato alla mia scelta di vita. Non è stato facile aprirsi alla presenza di altre persone, che in questi anni sono venute a collaborare per alcuni periodi. Mi sono scontrato anche con le mie difficoltà di condivisione, oltre al fatto che le persone si avvicinano alla mia realtà per motivi diversi che nel tempo possono evolversi e portarle a fare altre scelte.

Chi viene di solito a lavorare da te?

Fino a qualche tempo fa, in massima parte si trattava di persone sui 35-40 anni, con esperienze professionali molto varie, comunque alla ricerca di un senso diverso del proprio vivere. Adesso stanno crescendo le richieste di ragazzi sui 20-25 anni, che si interrogano sul loro futuro e sentono il bisogno di cambiare rotta, di prepararsi per un cambiamento radicale dello stile di vita. Attraverso il lavoro agricolo si mettono alla prova e assicuro che anche in una settimana si capiscono molte cose, soprattutto relativamente al proprio modo di consumare.

Che vita si conduce a Pecoranera?

Fino a poco tempo fa vivevo in una casetta di legno, in cui l’energia elettrica era prodotta da un pannello solare che mi permetteva di ricaricare il cellulare e il computer, oltre a fornirmi un po’ di luce. Il riscaldamento era a legna, ma ho imparato a convivere con temperature d’inverno non superiori ai 15-17 gradi, nei migliori casi. Ora mi sono spostato in una normale casa di proprietà dei miei genitori in paese. Sono allacciato alla corrente, anche se consumo pochissimo perché non ho molti elettrodomestici. Cerco di scegliere ogni comportamento, anche se non è facile. Ma solo dalla consapevolezza e da qualche decisione radicale si può imboccare la strada del cambiamento di stile di vita.

Un esempio?

Non ho la tivù, anche perché mi sarebbe difficile gestirla se l’avessi. Non sono così virtuoso, tanto che a volte mi accorgo di stare collegato a internet anche se non mi serve. Ho venduto l’automobile, visto che non dovevo più andare fino a Udine per lavorare, e mi sono preso una bicicletta. Da essere un ragazzo cicciotello e che non mangiava verdura, adesso ho cambiato linea e sono diventato vegetariano. E sono andato in bici dal mio paese fino ad Agrigento in tre settimane.

Il tuo libro ha sollevato anche molte polemiche. Pensi che la tua vita sia una provocazione?

Forse per alcune persone le mie scelte suscitano critiche perché preferiscono confermare la validità delle loro scelte, anche se non li rendono liberi o felici. Io non dico di aver trovato la formula magica. Ho solo seguito un sogno, nella consapevolezza che viviamo tempi di trasformazione e che dobbiamo cambiare un cosiddetto progresso che ci intrappola. Farlo costa molta fatica e mette in campo diversi rischi, non ultimo quello di dover correggere i propri sogni. Però le rivoluzioni vere avvengono grazie a tante rivoluzioni individuali, non credo a quelle calate dall’alto.

È possibile pensare che la rivoluzione parta dal lavorare la terra?

Io ho scelto di tornare a valorizzare il mio paese, di provare ad operare il cambiamento partendo da ciò che avevo attorno. È quello che suggerisco a tutti: diventare consumatori attenti, fare la spesa con i gruppi di acquisto solidale, ridurre le proprie necessità apporta un mutamento sociale che può incidere molto sulla nostra vita e sull’economia. Partendo ad esempio dall’alimentazione: credo che sia inutile produrre 10 chili di mais per avere un chilo di carne. Possiamo ridurre il consumo di bistecche e permettere così la rotazione delle colture, eliminare l’uso della chimica per l’agricoltura intensiva e magari utilizzare la Pianura padana anche per produrre biomasse. Cambierebbe l’economia locale, persino il panorama. E noi avremmo cominciato una nuova strada. Sarebbe una rivoluzione alla nostra portata.

Fabiana Bussola



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