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chiese d'Europa e bene comune
La persona, e non i mercati, devono essere al centro dell’Europa unita. È sotto gli occhi di tutti, cioè di oltre 500 milioni di cittadini dei 27 Paesi dell’Unione, l’errore di prospettiva commesso dai politici e dai burocrati: costruire l’Europa a cominciare dai mercati, dalla moneta unica, dalle istituzioni. «Per riprendere il cammino con decisione l’Europa deve partire dall’uomo, più che dai mercati o dalle istituzioni. E questo significa favorire la vita e la famiglia» perché nel processo di unificazione «è indispensabile un fondamento etico». Lo sostiene l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, agli ambasciatori dei Paesi dell’Ue accreditati presso la Santa Sede. «La via per uscire dalla crisi non può fondarsi solo sulla ricerca di soluzioni tecniche, seppure innovative, bensì trarre spunto dal bagaglio comune europeo, che vede nella figura e nella responsabilità della persona un’insostituibile risorsa. Lo sviluppo dell’Europa non può prescindere dalla centralità della persona». Non si tratta di introdurre un principio religioso, ma di riconoscere, come fece Alcide De Gasperi, che «all’origine della civiltà europea si trova il Cristianesimo». Una delle sfide cruciali è favorire la produzione e l’occupazione, problema di non facile soluzione, ma non impossibile. Secondo il ministro degli Esteri della Santa Sede un’Unione «che trovi nei mercati il suo unico collante è destinata a fallire, invece un’Unione che riponga al centro l’uomo e le istanze dalla sua ricca e benefica tradizione è destinata a riuscire, perché nessuno è disposto a compiere sacrifici senza un orizzonte ideale che a quei sacrifici dia una ragione e uno scopo». Su queste dinamiche tempo fa è intervenuta con l’ampio documento «Una comunità europea di solidarietà e responsabilità. L’economia sociale di mercato competitiva all’interno del Trattato sull’Unione europea» la Comece, che riunisce le Conferenze episcopali dei 27 Paesi dell’Unione, più Svizzera e Croazia. Lo ha fatto per accompagnare il processo politico dell’Unione e incoraggiare la riflessione sui problemi e le difficoltà della costruzione europea. Le sfide sono molte: anzitutto quella demografica, poi la solidarietà tra le generazioni, la competitività e la flessibilità per ridare ossigeno all’occupazione e per creare uno stabile sistema finanziario. Si auspica la tassazione dei grandi patrimoni e delle transazioni finanziarie: «Le tasse non sono da vedere come un inutile fardello sulle spalle dei contribuenti, ma sono necessarie come contributo per raggiungere ciò che il mercato non può fare in settori determinanti per una vita sociale sostenibile, quali l’educazione, la salute, l’assistenza». Ciò che preoccupa moltissimo i cittadini è la persistente crisi dell’economia reale, con l’inflazione che ha ripreso ad aumentare e con una disoccupazione, specie giovanile e femminile, sempre più allarmante, settori ai quali il dio-mercato e l’alta finanza si interessano poco. Il documento è stato redatto dalla Commissione Affari sociali, presieduta dal cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco (Germania), che nel frattempo è diventato presidente della Comece: «Il mercato ha regole, spiegazioni e dinamiche economiche e sociali che riguardano le persone. Se è importante identificare le misure che possono contenere e superare la crisi, è ancora più importante riflettere sull’idea di Europa che vogliamo realizzare. L’euro è determinante, ma dobbiamo interrogarci sulle finalità per le quali l’euro è stato creato. È essenziale ripensare il concetto di “giustizia sociale”: oltre a implicare la giusta distribuzione fra tutti di obiettivi, bisogni e diritti, la garanzia di eque opportunità, questo concetto necessita di responsabilità personale». Parlare di «economia sociale di mercato» continua il card. Reinhard significa «dare regole ferree al mercato, che altrimenti diventa un caos; e ridare dignità alla persona, senza toglierle i diritti di cittadinanza o riducendola a consumatore. Bisogna rimettere al centro il pilastro del bene comune, concetto fondamentale, andando al di là della prospettiva che ragiona solo in termini di Pil». Oggi è possibile «superare socialismo e capitalismo e cercare una terza via». Nel frattempo i presidenti delle 9 Conferenze episcopali del Sud-Est Europa chiedono il riconoscimento della personalità giuridica delle Chiese cattoliche nei Paesi dove sono una minoranza, per esempio Grecia, Turchia, Cipro. Mons. Duarte da Cunha, segretario del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), spiega: «Il riconoscimento aiuterà le Chiese a svolgere la loro missione con tranquillità e con pari dignità delle altre fedi religiose. Nel Consiglio d’Europa vengono discusse tematiche fondamentali come la difesa della vita, la famiglia, la libertà di coscienza, temi che incidono nella vita delle persone. Da qui l’esigenza di far sentire che c’è una unanimità nella Chiesa cattolica». Il riconoscimento andrebbe incontro a esigenze reali. Per esempio la comunità cattolica della Bosnia-Erzegovina rischia di scomparire se il calo demografico dovesse continuare all’attuale ritmo. «La situazione è drammatica» dice allarmato mons. Franjo Komarica, presidente della Conferenza episcopale. Anche il Pontefice è intervenuto con una lettera sul calo demografico. Durante la guerra del 1991-1995 la Chiesa subì pesanti danni: 1.000 edifici furono completamente, pesantemente o parzialmente danneggiati. Prima della guerra i cattolici erano 800 mila, oggi sono 440 mila, l’11 per cento di una popolazione di 3.843.000 cittadini. La situazione peggiore è nella diocesi di Banja Luka dove in dodici anni, dal 1999 al 2011, i cattolici sono scesi da 52.700 a 35.900. Nel 1996 ci furono 6.739 battesimi e 5.259 funerali; nel 2010 il dato si è rovesciato: 6.136 morti e 4.726 nascite, cioè 1.410 funerali in più rispetto ai battesimi. Pier Giuseppe Accornero
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