La spending review: i rischi e i vantaggi

 

Disoccupazione alle stelle, salari bassi e consumi ridotti al minimo. Sono drammatici i dati dell’Istat usciti nelle ultime settimane. Ad aprile il tasso dei senza lavoro è salito al 10,2 per cento, con un incremento di 2,2 punti percentuali su base annua. Ma è soprattutto la situazione dei giovani a far preoccupare. Gli ultimi dati parlano del 35,2 per cento di senza lavoro tra i 15 e i 24 anni, in aumento del 7,9 per cento su base annua.

«Si profila con contorni sempre più netti in tutto il Paese una vera e propria emergenza che in alcune aree del Sud è ormai a livelli di dramma socialmente insostenibile», ha sottolineato il segretario generale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini.

Le cose purtroppo non vanno bene nemmeno per chi un lavoro ce l’ha. Sempre secondo l’Istituto di statistica, infatti, il divario retribuzioni-prezzi è ai massimi da 17 anni e gli stipendi ai minimi degli ultimi 12. La forbice tra l’aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,4 per cento) e il livello d’inflazione (+3,3 per cento), su base annua, ha toccato una differenza pari a 1,9 punti percentuali. Sul fronte delle pensioni la Relazione annuale Inps sul 2011 ha indicato che il reddito pensionistico medio è di 1.131 euro e oltre 7,2 milioni di pensionati, pari al 52,1 per cento, del totale ha un reddito pensionistico complessivo inferiore a mille euro al mese.

Così per arginare le perdite di gettito, il governo corre ai ripari con la spending review. Le entrate tributarie dei primi quattro mesi dell’anno risultano inferiori del 2,9 per cento rispetto alle previsioni. E a pesare è soprattutto l’Iva, in caduta del 9,6 per cento come conseguenza della recessione. «I governi oggi devono far fronte a oneri finanziari rimandati da troppo tempo e questo ha conseguenze sulle imprese e sulle scelte delle famiglie. Certo, l’ingente debito pubblico italiano pesa maggiormente sulle spalle dei cittadini. Per questo è importante agire sulle spese dell’amministrazione. Ed è necessario farlo in fretta. Lo Stato ha bisogno di soldi per affrontare le spese correnti che non può ridurre nel breve periodo perché sono connesse a persone e non a forniture», spiega il professor Angelo Di Gregorio, ordinario di Economia e Gestione delle imprese all’Università Bicocca di Milano.

Enrico Bondi ha presentato il cronoprogramma degli interventi al comitato interministeriale. I primi risparmi saranno pari a 4,2 miliardi di euro, su un volume di spesa considerata «aggredibile» di circa 100 miliardi, e gli strumenti operativi per ottenere queste riduzioni di spesa saranno varati entro il mese di giugno. Una tabella di marcia a tempi stretti, a cui hanno contribuito anche le segnalazioni on line degli sprechi da parte dei cittadini, che sono arrivate a quota 130 mila.

Gli interventi dovranno essere precisi e mirati. «Nuovi tagli indiscriminati in questo momento potrebbero solo abbattere la capacità di generare reddito e ricchezza e potrebbero creare problemi sociali di portata maggiore a quelli che stiamo affrontando ora», aggiunge il professor Di Gregorio. Sanità e istruzione sono settori in cui bisogna investire, ma il bilancio è molto ristretto. Per creare un nuovo equilibrio il governo deve intervenire sugli enti che fanno parte del bilancio statale e tagliare posti di lavoro. «È un’operazione complessa a cui si arriva solo un po’ alla volta. Intanto però ci sono costi da coprire. Oggi non è più possibile, come eravamo abituati in passato, ridurre il livello dei servizi, perché si creerebbero disagi sociali troppo forti», precisa. E a dare l’idea della difficoltà del momento sono anche gli ultimi dati del Censis sulla sanità. Donne, anziani, famiglie con figli. Sono oltre 9 milioni le persone che hanno dovuto rinunciare alle cure sanitarie per motivi economici nell’ultimo anno, secondo quanto emerge da uno studio Rbm Salute-Censis.

Le macro aree in cui verterà l’intervento di Bondi sono già state annunciate. Ottimizzazione dei prezzi-costi unitari, delle quantità-consumi unitari, integrazione e razionalizzazione degli strumenti già esistenti. Tassello fondamentale è il controllo dei prezzi negli acquisti di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione. Le analisi già fatte «suggeriscono la possibilità di una serie di azioni per realizzare un sistema di acquisto realmente integrato», fa sapere Palazzo Chigi spiegando che l’obiettivo sarà quello di «ottimizzare il prezzo unitario di acquisto». Il comitato interministeriale tornerà invece a riunirsi il 12 giugno quando saranno disponibili i risultati della spending review interna effettuata dai singoli ministeri.

Ma per far ripartire l’economia è importante anche ridurre le tasse. «L’obiettivo è quello di evitare il previsto aumento dell’Iva al 23 per cento. Anche se il terremoto in Emilia ha reso la situazione ancora più difficile», ha commentato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda. Una notizia che fa piacere alle associazioni dei consumatori. «Colpire l’Iva dà l’impressione di ridurre subito il debito pubblico, ma in una situazione difficile come la nostra porta a un’ulteriore riduzione dei consumi e avvicina il rischio di stagflazione. Si dovrebbe anzi maggiorare l’Iva del 2-3 per cento sui beni di lusso, che in genere vengono acquistati dalle persone che hanno maggiori disponibilità. Basta con la benzina. E sarebbe giusto che ci fosse uno scambio con i lavoratori, per cui a fronte di un aumento dell’Iva fossero abbattute le tasse in busta paga», ha commentato Pietro Giordano, segretario generale dell’Associazione dei consumatori Adiconsum.

Ma in recessione, in una situazione di crisi economica globale e di difficoltà per la moneta unica, quali sono le strategie per lo sviluppo? «Incentivi alle imprese, infrastrutture, sgravi fiscali mirati ad assunzioni e ricerca. Queste sono da sempre le ricette migliori per incoraggiare la crescita. Si tratta di misure che chi è al governo conosce bene. Mi sembra che al momento l’unico problema sia quello di valutare le risorse che si hanno a disposizione», commenta Pietro Cafaro, docente di Storia dell’economia dell’Università Cattolica di Milano. Proprio in questi giorni, infatti, il ministero dello Sviluppo economico ha attivato il Fondo nazionale per l’innovazione per promuovere tre linee di attività: brevetti, disegni e modelli. Si tratta di 75 milioni di euro per finanziare le imprese con progetti innovativi che possono accedere al prestito e in cambio non è richiesta alcun tipo di garanzia.

Estensione alle obbligazioni di progetto della tassazione pari al 12,5 per cento prevista per i titoli di Stato, credito di imposta sugli investimenti in ricerca e sviluppo e per l’assunzione di personale qualificato, compensazioni tra crediti fiscali e una maggiore percentuale di sgravi fiscali per le ristrutturazioni: interventi che possano stimolare l’industria italiana e favorire quei settori in cui siamo da sempre fiore all’occhiello in Europa e nel mondo. «Proprio in questa direzione vanno le affermazioni del ministro per l’Ambiente Clini a proposito degli incentivi che verranno dati alle imprese che lavorano nel campo delle rinnovabili», conclude Cafaro. «Siamo leader in questo settore per tecnologia e per le potenzialità che queste fonti energetiche hanno nel nostro Paese. Sicuramente questo potrà essere un ottimo volano, nel momento in cui in tante zone dell’Europa e del mondo si vuole andare oltre al nucleare».

Cristina Conti



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