L'Inghilterra "corrotta" da Murdoch

Lo sfaldamento progressivo ma verosimilmente inesorabile dell’impero mediatico di Rupert Murdoch, percosso da scandali e imputazioni d’attività criminose, rischia di trascinare nella sua caduta il governo britannico, una coalizione che si sta rivelando sempre più fragile tra i conservatori guidati da David Cameron e il piccolo partito liberaldemocratico di Nick Clegg.

Lo scenario del dramma è adesso un’ampia aula della Corte di giustizia londinese, nella quale, da sette mesi, il giudice Lord Brian Leveson e il suo assistente/inquisitore Robert Jay stanno investigando le relazioni dei giornali e degli altri media con il mondo politico, con la polizia e con il pubblico; relazioni di cui tanti episodi recenti hanno dimostrato quanto possano essere dannose per la salute democratica (e diciamo pure, più in grande, morale) della Gran Bretagna.

L’inchiesta Leveson, dotata di notevoli poteri giuridici, è stata decisa dal premier Cameron su sollecitazioni del Parlamento, dopo che uno dei maggiori quotidiani nazionali, il radicale «Guardian», aveva coraggiosamente documentato e denunciato, in una lunga battaglia solitaria, gli abusi del diffusissimo «News of the World», tabloid del gruppo Murdoch, un domenicale populista e scollacciato, che di lì a poco, per decisione del proprietario, cessò le pubblicazioni. La polizia (Scotland Yard) sembrava propensa a ignorarli, e l’establishment politico a non farci caso.

Oggi sappiamo che questi atteggiamenti non erano affatto disinteressati. I poliziotti ne ricavavano prebende in contante, e i politici sostegno d’articoli alle proprie cause. Il sistema si è inceppato quando il «Guardian» ha reso noto che il tabloid in questione, come forse il quotidiano «The Sun» suo confratello, raccoglieva notizie intercettando illegalmente le segreterie telefoniche di migliaia di cittadini, noti alle cronache per le loro fortune o disgrazie o avventure; una moltitudine di persone in cui figuravano anche membri di spicco della Casa Reale. Il principe William, per esempio, lesse sul «News of the World» una propria riflessione, confidata a un solo intimo amico e unicamente in un messaggio al cellulare. E l’amico giurava di non averne fatto verbo a chicchessia.

Sotto l’indifferenza dei poliziotti e dei politici, la verità di fondo, e ben più conturbante, è che l’influenza dell’impero mediatico di Murdoch, cresciuta continuamente nell’arco di un trentennio, ha infiltrato la maggior parte delle strutture di potere della società britannica, a cominciare dal governo, pilotandone molte scelte importanti, sia politiche che d’altra specie, in direzioni confacenti ai desideri e alla mentalità del magnate australiano, padrone del 40 per cento della stampa del Regno e principale azionista (39 per cento) della «B Sky B» televisiva. (Trascuriamo qui le altre branche internazionali della sua News Corporation, che spaziano dell’Australia agli Stati Uniti e alla Cina).

Beniamino e sostenitore di Margaret Thatcher, che tralasció di deferirne le acquisizioni alla Commissione dei monopoli, Rupert Murdoch gradisce la deferenza dei leader politici che ambiscono al sostegno dei suoi giornali e schermi. Prima delle elezioni del 1997 il neo laburista Tony Blair si recò umilmente a chiederglielo in Australia, non si sa a quale prezzo; e dopo ebbe la carica di premier per tre legislature, concluse le quali fu contento di far da padrino di battesimo all’ultima neonata dell’amico Rupert.

Nelle elezioni del 2010 l’appoggio è passato ai conservatori e l’inchiesta Leveson ha lasciato intendere che tra le parti ci doveva essere stata di nuovo una discreta messe di reciproche concessioni e garanzie. Una, per esempio, riguardava un piano che Murdoch aveva in animo di attuare in tutta urgenza: l’acquisto dell’intero pacchetto azionario della «B Sky B», un affare da otto miliardi di dollari, ma impossibile senza l’approvazione del governo, tenuto a sancire se fosse conforme alla pluralità dell’informazione. Il ministro della Cultura, Jeremy Hunt, designato a decidere, si è prodigato per condurlo velocemente in porto, come gli avevano raccomandato dietro le quinte sia il premier che il Cancelliere. Ma in questo modo, venendo meno all’imparzialità, ha violato il codice di condotta ministeriale, per giunta fuorviando il Parlamento con omissioni di documenti. Cameron avrebbe dovuto licenziarlo, ma ha lui stesso la coda di paglia e nei prossimi giorni dovrà presentarsi di persona a Lord Leveson e dare spiegazioni.

All’ombra festosa delle celebrazioni dei sessant’anni di regno (Diamond Jubilee) di Elisabetta, il Gabinetto britannico vive dunque giorni inquieti. Decidendo l’Inchiesta Leveson il premier ha agito un po’ come l’apprendista stregone della favola, evocatore di forze che lo sopraffecero. Siamo in un Paese ove non esistono leggi ad personam, né legittimi impedimenti codificati. Se un giudice ti convoca, ci vai e rendi testimonianza, pezzo grosso o mezza calzetta che tu sia. Nella vasta aula della Corte di giustizia abbiamo visto deporre compunti il miliardario Rupert Murdoch, l’ex premier Tony Blair, il ministro Hunt, e adesso vi attendiamo Cameron. Il giudice Leveson e il suo assistente/inquisitore sono rispettosi, ma non deferenti; e vogliono conoscere minutamente i fatti, e in che ambiente e in quale genere di cultura siano maturati e accaduti.

Per cui l’inchiesta Leveson, finalizzata primariamente a trovare e codificare la giusta misura, o perfetta distanza, nelle relazioni tra media e politici, media e polizia, media e cittadini, si è in un certo modo ampliata spontaneamente in un affascinante dibattimento sulle miserie di quest’Inghilterra così impoverita culturalmente e moralmente, così scarsa d’umanesimo e umanità. Il «Guardian» vi fa spicco come un modello plausibile di giornalismo onesto sul quale anche Scotland Yard può meditare per far fronte alla corruzione che l’ha contagiata; e qualcosa ne possono forse imparare anche i redattori dei tabloid di Murdoch, responsabili di questo e altri reati, di cui non avrebbero mai preso coscienza né paventato sanzioni senza la denuncia del quotidiano radicale. Uno degli ex direttori del defunto «News of the World», Andrew Coulson, poi assunto imprudentemente come proprio portavoce dall’attuale premier, è ora imputato di spergiuro, ossia di aver mentito sotto giuramento in un processo intentatogli da uno scozzese che si riteneva diffamato da un articolo del suo tabloid. Un altro, la signora Rebekah Brooks,ex protetta di Murdoch e pure lei grande amica di David Cameron, è incriminata insieme al marito per «cospirazione allo scopo di fuorviare il corso della giustizia». In altre parole, hanno distrutto dossier compromettenti. Utili all’inchiesta.

Carlo Cavicchioli



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