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Quando le donne vollero sapere«Quando le donne vollero sapere», un titolo suggestivo per la mostra all'Archivio di Stato di Torino che celebra i cento anni della Pro Cultura Femminile. «Siamo nate all’inizio del secolo, il 20 dicembre 1911 allo scopo di tener viva e completare la coltura che le Signorine hanno ricevuta nella scuola secondaria, ed insieme di educare la coscienza civile e morale delle medesime a retti ed elevati ideali», recitava il secondo articolo dello Statuto dell'associazione, nata a Torino per iniziativa di un gruppo d'insegnanti della scuola magistrale (allora si diceva «normale») «Maria Laetitia» che trovarono immediatamente l'adesione delle loro giovani allieve. Voler avvicinare le donne alla cultura nelle forme più rispondenti alla condizione femminile del momento fu, per i tempi, un'operazione rivoluzionaria, che accomunava donne giovani e meno giovani, di condizione agiata e modesta, nel desiderio di arricchire la propria istruzione. La mostra, organizzata dalla Pro Cultura e dall'Archivio di Stato, a cura di Gabriella Balbiano d'Aramengo, con la collaborazione appassionata di Isabella Massabò Ricci, offre al visitatore un percorso affascinante, ricco di echi e suggestioni. Intanto, le sale dell'Archivio di Stato sono di per sé un elemento di questo fascino, con i loro ampi spazi ricchi di storia; inoltre la chiara disposizione nelle cinque sale del secondo piano di fotografie, manifesti, dipinti, libri... e il ricorso a strumenti audiovisivi digitali avvicinano al percorso espositivo, lo rendono palpabile e contemporaneo. Ecco così scorrere in dissolvenza su uno schermo i volti delle presidenti, dalla fondatrice Lisetta Motta Ciaccio, che resse la Pro Cultura dal 1911 al 1918, a Lea Mei, che fu presidente per ben trentasette anni, dal 1920 al 1957, attraversando il fascismo, la guerra e il secondo dopoguerra, ad Augusta Grosso, a Marina Bersano Begey, che celebrò i 70 anni dell'associazione, alla penultima reggente, Maria Vittoria Lovera di Maria, a cui da quattro mesi è subentrata Gabriella Balbiano. Davanti al visitatore si snoda tutta la vita dell'associazione, dalla prima sede nella scuola «Maria Letizia» all'ultima in via Accademia Albertina 40 (dal 2002 la Pro Cultura è ospitata dall'Archivio di Stato) e si delinea il contesto storico in cui si svolse; si apre con le immagini dell'Esposizione internazionale del 1911, quando Torino dovette reinventarsi una vocazione dopo la perdita del ruolo di capitale del Regno d'Italia e la Fiat, fondata nel 1899, imprimeva il suo marchio sulla città; si continua con le forme di assistenza ai soldati nella guerra del '15-18, quando le donne, assenti dal fronte, si ingegnano a inventare modi per essere al fianco dei militari: si raccoglie denaro, si acquista lana, si producono sciarpe, guanti, calze, pancere; con la carta dei giornali si confezionano gli scaldarancio, dei cilindretti utili a scaldare il rancio e attenuare il gelo degli arti (ben 110.000 forniti fra l'ottobre 1915 e il febbraio 1916). Un'altra emozione è l'incontro con le pagine ingiallite dei libri della Biblioteca, che fin dall'inizio fu una delle più importanti iniziative della Pro Cultura; si accrebbe negli anni fino a raggiungere la cifra di ben 43.000 volumi, attualmente conservati presso la Biblioteca civica di Torino, dove è si conclusa la digitalizzazione di tutte le schede. La biblioteca si caratterizzava per alcuni filoni fondamentali: autori classici latini e greci, autori contemporanei, autori stranieri, con notevole spazio riservato alla letteratura francese grazie al contributo del professor Franco Simone, autori per ragazzi, fra cui non potè mancare «Il piccolo principe» di Antoine de Saint Exupery. Nei confronti del fascismo ci fu una sofferta "acquiescenza", ma la biblioteca continuò ad accrescersi mettendo in catalogo opere di stampo antifascista, come «Risorgimento senza eroi» di Piero Gobetti e autori come Francesco Ruffini, Benedetto Croce, Lionello Venturi, accanto ai doverosi «Discorsi del 1930» di Benito Mussolini o «Dux» di Margherita Sarfatti, la regista che fu l'anima artistica del regime. Nelle altre bacheche trovano posto i manifesti con i programmi annuali delle conferenze dell'associazione, a cui parteciparono nomi eccelsi; nel programma del Corso sull'Arte per il 1956-1957 troviamo i nomi di Gillo Dorfles, Italo Cremone, Albino Galvano, Luigi Mallè, Carlo Mazzantini, Riccardo Chicco, Lalla Romano; nelle Conversazioni in biblioteca incontriamo Giuseppe Ungaretti, Mario Fubini, Ettore Passerin d'Entrèves, Franco Simone, Concetto Marchesi. Seguono i documenti relativi alle iniziative teatrali e all'attività musicale, che fu il fiore all'occhiello della Pro Cultura; nel 1919 fu costituita come sezione autonoma la Pro Cultura Musicale, con «lo scopo di diffondere la cultura musicale per mezzo di serie audizioni della migliore musica da camera antica e moderna» (art. 1 dello Statuto). L'anima dell'attività fu Bice Bertolotti Lupo, che presiedetta la Sezione Musicale dal 1920 fino al 1950, anno della sua morte. Tra i programmi esposti si va dal concerto della clavicembalista Wanda Landowska del 1922 a quello del violinista Jehudi Menuhin del 1933 ai programmi in collaborazione con l'Eiar del biennio 1932-1933, con musiche di Ottorino Respighi dirette dall'autore, musiche di Igor Strawinsky dirette dall'autore. Nell'ultima sala un'ultima sorpresa, i bellissimi quadri che testimoniano dell'attività dell'associazione anche nel campo delle arti figurative. Nel 1930 fu allestita la Prima mostra d'arte femminile, della quale scrisse Luigi Zanzi: 60 espositrici, 170 opere rappresentative di ogni tendenza e ogni età, che riunivano rivoluzione e tradizione; nel 1932 la Mostra femminile di arte decorativa moderna, nel 1937 la Mostra del ritratto femminile, aperta anche agli uomini. Fra le donne pittrici, si incontra Lalla Romano con un ritratto di Nella Marchesini, altra interessante artista presente con «Letti bianchi» e con «Interno (o Figure in un interno)» del 1930, in cui ritroviamo quel tono di intimità familiare che caratterizza molte sue opere; fra i dipinti più belli, «Cipressi al mare» di Jessie Boswell, del 1929, un paesaggio essenziale, netto nel disegno e nel colore. E poi: Daphne Maugham Casorati con una «Natura morta» del 1929, Paola Levi Montalcini con una «Natura morta», Manon Michel con «Quartiere di Varsavia», «Chiesa di Santa Croce» un'antologia di capolavori. Fra i ritratti di donne ricordiamo almeno «Ritratto di donna con cappellino marrone» di Ugo Malvano, «Ritratto della madre» di Carlo Levi, «Ritratto della moglie» di Riccardo Chicco, la dolcissima «Ottavia» di Gigi Chessa e, di Felice Casorati, «Donna che pensa». Per la bellezza del quadro e per il titolo potrebbe diventare il nuovo logo casoratiano della Pro Cultura, tutta fatta di donne che pensano. La mostra «Quando le donne vollero sapere. La Pro Coltura Femminile 1911-2011» è aperta all’Archivio di Stato (piazzetta Mollino 1) a Torino fino al 5 luglio. Orario: da martedì a sabato, dalle 15 alle 18,30. Gianna Montanari
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