Ripartire dal Battesimo

Battesimo, «porta della fede» o «sacramento mordi e fuggi»? Per il bambino è un dono di vita nuova arricchita dallo Spirito Santo. Per i genitori un atto d’amore che li impegna nella loro responsabilità di educatori. Per la Chiesa una grazia perché, generando nuovi figli, esercita la sua maternità e cresce come popolo di Dio. Sempre più spesso, invece, le famiglie impermeabili al dono che Dio fa al loro figlio arrivano all’appuntamento senza un adeguato cammino di preparazione. Il rischio? Ridurre il sacramento a una festa senz’anima, “estraneo” alla vita stessa della comunità parrocchiale. Una contraddizione evidente: celebrare il battesimo senza la presenza della comunità rischia di svuotare le prime parole che i genitori sentono pronunciare dal prete, «La comunità vi accoglie…».

Se il battesimo è dunque il più bello e magnifico dei doni di Dio, il primo sacramento dell’iniziazione cristiana («Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo», Marco 16,16), merita un’attenzione pastorale nuova e creativa. A crederci per primo il vescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, che ha deciso di mettere al centro del lavoro della diocesi proprio la Pastorale battesimale, coinvolgendo tutta la sua Chiesa nella riflessione. Per questo l’Assemblea diocesana che si è aperta venerdì 1° giugno al Santo Volto, in un centro congressi gremito di preti, suore, diaconi, laici e tante famiglie impegnate nelle parrocchie, ha scelto come tema il «Battesimo, porta della fede e della vita cristiana». Dopo i gruppi di lavoro nei quattro distretti pastorali, venerdì 8 giugno, di nuovo al Santo Volto, il confronto finale, con le indicazioni che serviranno al vescovo di Torino per elaborare il programma del prossimo anno.

A illustrare gli orientamenti e le sfide aperte della pastorale battesimale in tutte le diocesi italiane è stato invitato il vescovo di Cuneo e Fossano mons. Cavallotto, raffinato teologo che ha tenuto una lunga relazione sul cammino prima e dopo il battesimo, cioè quel tempo che va dall’attesa del figlio sino al suo ingresso nella scuola primaria. Come dire, da zero a sei anni: quella età magica nella quale i bambini dimostrano di avere una sorta di predisposizione al sacro. O come diceva Adele Costa Gnocchi, allieva e collaboratrice di Maria Montessori, con una felice espressione: «Dio e i bambini se la intendono». Sì, perché ancora prima che mamma e papà parlino di Dio al proprio figlio, tra il Signore e il bambino esiste una comunicazione, uno scambio, un’intesa. La grazia battesimale e il dono dello Spirito scendono sul piccolo arricchendolo di contenuti perlopiù inafferrabili al mondo degli adulti.

«Cristiani non si nasce, si diventa» scriveva Tertulliano, teologo vissuto nella seconda metà del II secolo, e aveva ragione. All’alba del Terzo millennio ricorda mons. Cavallotto la pastorale pre e post battesimale «si è guadagnata l’attenzione della maggior parte delle chiese in Italia. Una ventina di diocesi hanno avviato in tutto il Paese una concreta attuazione con una propria programmazione. In Piemonte esistono alcuni tentativi coraggiosi, ma ancora troppo limitati. In quasi tutte le parrocchie delle chiese piemontesi sono previsti incontri, alcuni più articolati altri più frammentati, di preparazione dei genitori al battesimo del figlio. Ma solo in poche parrocchie è stata avviata una organica proposta pastorale post battesimale per sostenere la crescita religiosa dei bambini e la formazione dei genitori alla loro missione educativa».

Il lavoro da fare è ancora molto e per questo il vescovo di Torino ha deciso di incentrare l’Assemblea diocesana proprio sulla pastorale battesimale. La scelta deriva dalle indicazioni dell’Assemblea del 2011 che mons. Nosiglia riprese nella sua prima Lettera pastorale «Sulla tua parola getterò le reti». «Il tema della pastorale battesimale», ha detto il vicario generale mons. Valter Danna, «occupa un’attenzione particolare non solo nella Lettera pastorale dell’arcivescovo, ma anche nella preoccupazione dei presbiteri, diaconi e operatori pastorali. Non si tratta infatti di ripensare una serie di strategie pastorali per un intervento che recuperi un maggior numero di famiglie alla parrocchia, ma di trovare un percorso comune e condiviso da ogni sacerdote e comunità in modo da riportare il battesimo al suo posto nella dinamica ecclesiale e personale della vita nuova in Cristo e di aiutare i genitori nel loro compito di primi educatori della fede».

Entrata nella casa del Signore, crescita religiosa dei ragazzi, missione educativa delle famiglie, formazione degli operatori sono i temi al centro delle riflessioni dell’Assemblea diocesana. Di fatto il cammino di iniziazione cristiana può essere paragonato a un ponte a tre arcate: l’età dell’infanzia, della fanciullezza e dell’adolescenza. Senza un «prima» e senza un «dopo» la catechesi parrocchiale dei fanciulli rischia la sterilità. Per questa ragione la Chiesa torinese lavora per rendere più espliciti i collegamenti tra il battesimo e tutte le altre pastorali di iniziazione e formazione, dalla catechesi dei ragazzi alla pastorale familiare e giovanile. Un lavoro che vede impegnate in prima fila le parrocchie, che hanno intensificato negli anni il loro servizio catechistico dei fanciulli e dei ragazzi. Ma non basta.

«Nonostante l’impegno dei catechisti», spiega mons. Cavallotto, «sovente ci si trova dinnanzi a risultati limitati, se non deludenti, dovuti alla crescente secolarizzazione, alla latitanza delle famiglie, talvolta alla scarsa motivazione dei ragazzi, non ultimo al breve tempo dedicato all’incontro di catechesi: un’ora alla settimana di catechismo difficilmente può incidere sulla crescita spirituale dei ragazzi». Per questo è emersa la necessità di rilanciare percorsi di pastorale battesimale in tutte le parrocchie, prendendo a modello il cammino catecumenale.

«Ispirarsi al modello catecumenale nella pastorale battesimale», ha detto don Andrea Fontana, direttore dell’Ufficio diocesano per il Catecumenato, «significa essere attenti a proporre un cammino che mette in primo piano le persone; significa avere lo spirito missionario dell’accoglienza e dell’evangelizzazione; significa adattarsi alla cultura in cui viviamo priva di riferimenti alla fede cristiana; significa compiere un itinerario di accompagnamento fatto di riti, esperienze concrete di solidarietà e di vita cristiana».

Alcune parrocchie della diocesi di Torino stanno già camminando in questa direzione per rendere sempre più «autentico» questo incontro. Tre le esperienze presentate durante l’Assemblea: quella della parrocchia della Crocetta, dove dieci coppie di sposi curano la preparazione dei battesimi visitando le abitazioni dei bambini e incontrando i genitori; quella della parrocchia Santa Monica, che ha provato un’esperienza di «battesimo a tappe» (accoglienza, unzione, sacramento), inserendo il battesimo nelle messe domenicali per viverlo come momento di Chiesa; e infine quella di Settimo Torinese, parrocchia Maria Madre della Chiesa, dove le famiglie vengono accompagnate nella «mistagogia», cioè nel cammino che si apre dopo il battesimo, per aiutarle a vivere la fede e a trasmetterla ai figli da 0 a sei anni.

Scrive papa Benedetto XVI nella lettera apostolica «Porta Fidei»: il battesimo è la «porta della fede» che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella Chiesa. Puntare sulla pastorale battesimale significa allora fare una scelta di apertura: il battesimo è l’occasione nella quale i genitori e le famiglie anche lontane si avvicinano alla Chiesa. Per questo mons. Nosiglia ricordando che «il battesimo è il sacramento da cui nasce il popolo sacerdotale», ha rivolto un invito sincero a tutte quelle mamme e quei papà che magari vivono ai margini della parrocchia, ma che al di là di una apparente indifferenza religiosa, sentono latente una ricerca di Dio e soprattutto la responsabilità di offrire ai propri figli un cammino di crescita nella fede.

Cristina MAURO



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