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Così si fa crescere l'economiaNegli scorsi anni, prima del fatidico autunno del 2008, si stava discutendo di etica e di economia con frequenza quasi sorprendente. Si parlava di codici etici delle imprese e persino di certificazione etica. Si rifletteva sul modo per trovare un criterio di giudizio che separasse ciò che è bene da ciò che non lo è. Nel farlo, talvolta, si sfiorava il gran tema del relativismo etico, chiedendosi se e come ci si potesse accordare sulla morale, quali che fossero culture e interessi. Si era capito, per la verità, che l’unico riferimento possibile era l’attenzione agli altri, anche se ciò talvolta finiva con l’apparire un po’ astratto e forse troppo semplice. Imprenditori, a qualsiasi attività dediti, avrebbero dovuto prestare attenzione alle esigenze dei clienti e a quelle dei loro dipendenti. L’utente dei servizi pubblici avrebbe dovuto essere il protagonista indiscusso di quelle attività, e non uno strumento per crear posti di lavoro non sempre appropriati. Poi è venuta la crisi. Si è constatato che in un ampio, apprezzato, ammirato e auspicato settore produttivo, quello dell’intermediazione finanziaria, alcuni operatori, dal peso tutt’altro che trascurabile, avevano venduto prodotti (in realtà ceduto dei crediti) di qualità assai scadente (difficili da riscuotere), per liberarsi dai rischi, dopo averne goduti i vantaggi. In una catena di vendite e di acquisti, in cui il cliente contava assai poco, avevano finito per accumulare crediti inesigibili e si ritrovavano sull’orlo del fallimento. L’estrema sintesi di quanto accaduto è qui rammentata soltanto per ricordarne le conclusioni. L’etica nell’economia consiste prima di tutto nel riportare il funzionamento del sistema a ciò che gli è proprio: produrre per soddisfare i bisogni delle persone. A questa funzione indispensabile si dà il nome di economia reale, spesso contrapposta alla sola intermediazione finanziaria. Questa è a sua volta un’attività produttiva assolutamente indispensabile, per proteggere il risparmio delle famiglie e soddisfare le necessità di investimento delle imprese, ma può degenerare nella mera o prevalente speculazione, in cui il guadagno deve essere immediato e non distribuito nel tempo, del tutto simile a quello che si ricava da una scommessa. L’attenzione all’economia reale è dunque il criterio etico per riflettere sulla crisi. Come tutti gli inviti che assomigliano troppo a degli slogan, l’auspicio va concretizzato ed è quanto si vuol brevemente delineare, ricollegandolo al problema cruciale dell’economia italiana: la crescita per assicurare un futuro ai giovani, apprezzandoli per il loro lavoro. Per la verità, dopo una crisi, più che a crescere si pensa a riprendersi, ma i dati sulla variazione del Prodotto interno lordo (il valore dei beni e dei servizi prodotti in ogni nazione in un anno), tra il 2007 e il 2011, mostrano che solo la Germania, tra le principali nazioni del cosiddetto mondo sviluppato, è riuscita ad aumentarlo in misura sensibile (+2,5 per cento), mentre Francia e Usa si trovano poco al di sopra (+ 0,5 e +0,7 per cento), e l’Italia (-4,5 per cento) con il Regno Unito (-2,5 per cento) non ha recuperato il valore precedente alla caduta dell’attività economica. Il nostro Paese subisce le difficoltà in misura maggiore degli altri perché già negli anni precedenti perdeva terreno rispetto ai sistemi economici più progrediti. “Tornare a crescere” è un’espressione che deve essere chiarita: non si tratta di invocare un continuo aumento delle quantità dei beni, ma una crescente qualificazione del lavoro che, capace di fornire merci e servizi di qualità migliore grazie alle tecnologie più progredite, è in grado di soddisfare le legittime aspirazioni a redditi più elevati con sufficiente garanzia di stabilità dell’occupazione. E’ senza dubbio importante ed essenziale scegliere le politiche più appropriate per aumentare l’efficienza del sistema finanziario, nell’unico modo che conta: cioè la sua capacità di sostenere la crescita delle altre imprese. E’ anche indispensabile non credere che ciò possa avvenire con facilità. Le proposte che autorevolmente sono suggerite, per esempio il ritorno a una maggior regolamentazione delle banche, separandone l’attività di finanziamento della produzione e delle innovazioni da quella in cui maggiore o prevalente è la componente speculativa, richiedono un accurato lavoro per non rivelarsi inutili o dannose. Tuttavia, indipendentemente dagli errori, dai comportamenti opportunistici e persino truffaldini di quegli operatori che hanno causato la crisi nel sistema finanziario, l’unico modo per superare le attuali difficoltà è il ritorno a considerare in via prioritaria l’economia reale, cioè la capacità di produrre per soddisfare i bisogni delle persone. Ci si indirizza per questa via con due grandi ambiti di impegno. Il primo è la valorizzazione della funzione imprenditoriale, con la capacità di utilizzare appieno le importanti proposte che la tecnologia offre. Ciò accade soprattutto nell’industria manifatturiera, antico nucleo di ogni sistema produttivo, oggi quantitativamente assai meno importante ma con una ricchezza di collegamenti a tutti gli altri settori (soprattutto quelli dei servizi più progrediti) da renderlo sempre capace di attivare lo sviluppo. E’ ben noto, ma forse non adeguatamente compreso, che ciò implica impegno nella ricerca di base e applicata, svolta non solo e non necessariamente negli organismi pubblici istituzionalmente preposti a tali funzioni (Università e altri enti), quanto in imprese di adeguata dimensione e ruoli internazionali, perché con quelle piccole, pur tanto esaltate, non si va lontano. Il secondo è l’efficienza della pubblica amministrazione, non dimenticando che la debolezza italiana di fronte alla speculazione internazionale è dovuta a sprechi, a illegalità e ad un’incapacità di opporsi alle richieste più disparate, che nel tempo hanno compromesso gravemente la finanza pubblica. Negli ultimi tre decenni sono stati frequenti i moniti degli economisti, che avvertivano come gli squilibri protratti tra entrate e uscite avrebbero causato l’impossibilità di intervenire con aumenti di spesa e riduzioni fiscali proprio nei momenti di maggiori difficoltà. Insufficiente attenzione è invece stata posta a ridurre il debito pubblico, proprio dopo il successo nel partecipare alla moneta unica europea; parve a taluni di aver compiuto un cammino di risanamento, mentre era appena iniziato. Si tratta ora di razionalizzare la spesa e di ridurla ove possibile, anche perché nel travagliato percorso che ci attende, fatto di situazioni critiche in imprese che non reggono la competizione internazionale, è del tutto probabile che le persone a reddito più basso ne patiscano di più, e sarà indispensabile sopperire alle carenze di reddito non già con sussidi che potrebbero ulteriormente diffondere comportamenti opportunistici fin troppo frequenti, quanto con la fornitura di beni pubblici dalla qualità elevata. La riduzione del danno per le categorie più deboli, e un nuovo e possibile benessere per loro, possono essere garantiti attraverso interventi in tre ambiti: un sistema sanitario efficiente (perché nessuno tema di non poter curare i propri familiari e se stesso); una istruzione che permetta ai giovani meritevoli di qualificare le proprie capacità di lavoro indipendentemente dal reddito; e un ambiente in cui sia possibile anche contemplare il vivere quotidiano, senza essere relegati in quartieri dormitorio di città prive di verde e danneggiate da inquinamenti. Nel campo dell’istruzione, poi, oltre agli indispensabili servizi pubblici, si dovrebbe davvero sfidare la cosiddetta società civile e il mondo del volontariato a perseguire un obiettivo di particolare importanza. Si tratta di far fare ai giovani delle esperienze internazionali, perché conoscano due lingue oltre la propria e siano in contatto con esperienze, mentalità e modi di vivere diversi. Non c’è dubbio che protagoniste di un’azione capillare di tal gente, già scelta con decenni di anticipo dalla comunità parrocchiale di don Milani, possono essere tutte le organizzazioni (associazioni e ordini religiosi) del mondo cattolico. Alcune iniziative importanti vi sono già nella scuola cattolica; ampliarle, farne uno degli ambiti più rilevanti della stessa pastorale giovanile, con il combinare all’estero esperienze di volontariato, vita in famiglia e scuola della lingua locale, contribuirebbe anche a dare ai nostri figli prospettive finalmente positive, senza i così frequenti e frustranti annunci prematuri di drammi storici incombenti. Piercarlo Frigero Imprenditori, a qualsiasi attività dediti, avrebbero dovuto prestare attenzione alle esigenze dei clienti e a quelle dei loro dipendenti. L’utente dei servizi pubblici avrebbe dovuto essere il protagonista indiscusso di quelle attività, e non uno strumento per crear posti di lavoro non sempre appropriati. Poi è venuta la crisi. Si è constatato che in un ampio, apprezzato, ammirato e auspicato settore produttivo, quello dell’intermediazione finanziaria, alcuni operatori, dal peso tutt’altro che trascurabile, avevano venduto prodotti (in realtà ceduto dei crediti) di qualità assai scadente (difficili da riscuotere), per liberarsi dai rischi, dopo averne goduti i vantaggi. In una catena di vendite e di acquisti, in cui il cliente contava assai poco, avevano finito per accumulare crediti inesigibili e si ritrovavano sull’orlo del fallimento. L’estrema sintesi di quanto accaduto è qui rammentata soltanto per ricordarne le conclusioni. L’etica nell’economia consiste prima di tutto nel riportare il funzionamento del sistema a ciò che gli è proprio: produrre per soddisfare i bisogni delle persone. A questa funzione indispensabile si dà il nome di economia reale, spesso contrapposta alla sola intermediazione finanziaria. Questa è a sua volta un’attività produttiva assolutamente indispensabile, per proteggere il risparmio delle famiglie e soddisfare le necessità di investimento delle imprese, ma può degenerare nella mera o prevalente speculazione, in cui il guadagno deve essere immediato e non distribuito nel tempo, del tutto simile a quello che si ricava da una scommessa. L’attenzione all’economia reale è dunque il criterio etico per riflettere sulla crisi. Come tutti gli inviti che assomigliano troppo a degli slogan, l’auspicio va concretizzato ed è quanto si vuol brevemente delineare, ricollegandolo al problema cruciale dell’economia italiana: la crescita per assicurare un futuro ai giovani, apprezzandoli per il loro lavoro. Per la verità, dopo una crisi, più che a crescere si pensa a riprendersi, ma i dati sulla variazione del Prodotto interno lordo (il valore dei beni e dei servizi prodotti in ogni nazione in un anno), tra il 2007 e il 2011, mostrano che solo la Germania, tra le principali nazioni del cosiddetto mondo sviluppato, è riuscita ad aumentarlo in misura sensibile (+2,5 per cento), mentre Francia e Usa si trovano poco al di sopra (+ 0,5 e +0,7 per cento), e l’Italia (-4,5 per cento) con il Regno Unito (-2,5 per cento) non ha recuperato il valore precedente alla caduta dell’attività economica. Il nostro Paese subisce le difficoltà in misura maggiore degli altri perché già negli anni precedenti perdeva terreno rispetto ai sistemi economici più progrediti. “Tornare a crescere” è un’espressione che deve essere chiarita: non si tratta di invocare un continuo aumento delle quantità dei beni, ma una crescente qualificazione del lavoro che, capace di fornire merci e servizi di qualità migliore grazie alle tecnologie più progredite, è in grado di soddisfare le legittime aspirazioni a redditi più elevati con sufficiente garanzia di stabilità dell’occupazione. E’ senza dubbio importante ed essenziale scegliere le politiche più appropriate per aumentare l’efficienza del sistema finanziario, nell’unico modo che conta: cioè la sua capacità di sostenere la crescita delle altre imprese. E’ anche indispensabile non credere che ciò possa avvenire con facilità. Le proposte che autorevolmente sono suggerite, per esempio il ritorno a una maggior regolamentazione delle banche, separandone l’attività di finanziamento della produzione e delle innovazioni da quella in cui maggiore o prevalente è la componente speculativa, richiedono un accurato lavoro per non rivelarsi inutili o dannose. Tuttavia, indipendentemente dagli errori, dai comportamenti opportunistici e persino truffaldini di quegli operatori che hanno causato la crisi nel sistema finanziario, l’unico modo per superare le attuali difficoltà è il ritorno a considerare in via prioritaria l’economia reale, cioè la capacità di produrre per soddisfare i bisogni delle persone. Ci si indirizza per questa via con due grandi ambiti di impegno. Il primo è la valorizzazione della funzione imprenditoriale, con la capacità di utilizzare appieno le importanti proposte che la tecnologia offre. Ciò accade soprattutto nell’industria manifatturiera, antico nucleo di ogni sistema produttivo, oggi quantitativamente assai meno importante ma con una ricchezza di collegamenti a tutti gli altri settori (soprattutto quelli dei servizi più progrediti) da renderlo sempre capace di attivare lo sviluppo. E’ ben noto, ma forse non adeguatamente compreso, che ciò implica impegno nella ricerca di base e applicata, svolta non solo e non necessariamente negli organismi pubblici istituzionalmente preposti a tali funzioni (Università e altri enti), quanto in imprese di adeguata dimensione e ruoli internazionali, perché con quelle piccole, pur tanto esaltate, non si va lontano. Il secondo è l’efficienza della pubblica amministrazione, non dimenticando che la debolezza italiana di fronte alla speculazione internazionale è dovuta a sprechi, a illegalità e ad un’incapacità di opporsi alle richieste più disparate, che nel tempo hanno compromesso gravemente la finanza pubblica. Negli ultimi tre decenni sono stati frequenti i moniti degli economisti, che avvertivano come gli squilibri protratti tra entrate e uscite avrebbero causato l’impossibilità di intervenire con aumenti di spesa e riduzioni fiscali proprio nei momenti di maggiori difficoltà. Insufficiente attenzione è invece stata posta a ridurre il debito pubblico, proprio dopo il successo nel partecipare alla moneta unica europea; parve a taluni di aver compiuto un cammino di risanamento, mentre era appena iniziato. Si tratta ora di razionalizzare la spesa e di ridurla ove possibile, anche perché nel travagliato percorso che ci attende, fatto di situazioni critiche in imprese che non reggono la competizione internazionale, è del tutto probabile che le persone a reddito più basso ne patiscano di più, e sarà indispensabile sopperire alle carenze di reddito non già con sussidi che potrebbero ulteriormente diffondere comportamenti opportunistici fin troppo frequenti, quanto con la fornitura di beni pubblici dalla qualità elevata. La riduzione del danno per le categorie più deboli, e un nuovo e possibile benessere per loro, possono essere garantiti attraverso interventi in tre ambiti: un sistema sanitario efficiente (perché nessuno tema di non poter curare i propri familiari e se stesso); una istruzione che permetta ai giovani meritevoli di qualificare le proprie capacità di lavoro indipendentemente dal reddito; e un ambiente in cui sia possibile anche contemplare il vivere quotidiano, senza essere relegati in quartieri dormitorio di città prive di verde e danneggiate da inquinamenti. Nel campo dell’istruzione, poi, oltre agli indispensabili servizi pubblici, si dovrebbe davvero sfidare la cosiddetta società civile e il mondo del volontariato a perseguire un obiettivo di particolare importanza. Si tratta di far fare ai giovani delle esperienze internazionali, perché conoscano due lingue oltre la propria e siano in contatto con esperienze, mentalità e modi di vivere diversi. Non c’è dubbio che protagoniste di un’azione capillare di tal gente, già scelta con decenni di anticipo dalla comunità parrocchiale di don Milani, possono essere tutte le organizzazioni (associazioni e ordini religiosi) del mondo cattolico. Alcune iniziative importanti vi sono già nella scuola cattolica; ampliarle, farne uno degli ambiti più rilevanti della stessa pastorale giovanile, con il combinare all’estero esperienze di volontariato, vita in famiglia e scuola della lingua locale, contribuirebbe anche a dare ai nostri figli prospettive finalmente positive, senza i così frequenti e frustranti annunci prematuri di drammi storici incombenti. Piercarlo Frigero
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