Ma in Piemonte con la Tav e la Fiat

«In Piemonte, come in larga parte dell'Italia, le maggiori difficoltà sono quelle legate al comparto manifatturiero e ad essere più penalizzate sono le aziende che lavorano pressoché col mercato interno. Tengono meglio le imprese che si rivolgono verso l’estero, operando in mercati in espansione. A queste problematiche congiunturali si aggiungono poi alcuni nodi, per così dire, strutturali del Paese, ad esempio la carenza di investimenti dovuta anche a tassi di interesse più elevati di quelli di molti altri concorrenti».

Giuseppe Gherzi, direttore dell'Unione industriale di Torino, non nasconde le proprie inquietudini per un quadro piuttosto fosco. Nel contempo prova a guardare oltre l'attuale orizzonte di crisi, individuando nei lavori per la Tav e negli investimenti Fiat due possibili assi strategici per la ripresa.

Dott. Gherzi, la Tav snodo decisivo. E' così?

Finalmente per la Tav si entra nella fase realizzativa e si cominciano a raccogliere i frutti della notevole attività svolta dall’Osservatorio diretto da Mario Virano. Un impegno che ha permesso di ridurre alcune delle ostilità preconcette che circondavano l’opera, tenendo altresì conto di parecchi rilievi che giungevano dal territorio. Oggi possiamo affermare, e per questo ritengo la Tav strategica per la ripresa, che grazie agli investimenti connessi alla realizzazione dell'opera vi sarà un incremento dell'1 per cento del Pil piemontese e 7-8 mila nuovi posti di lavoro. Ad esserne coinvolti, in termini di effetti diretti e indiretti, saranno un po’ in tutti i settori: dall’edilizia alla meccanica, dalla ristorazione ai trasporti. Un dato che proviene dall’esperienza dei comuni francesi negli anni scorsi interessati dalla realizzazione della linea.

E la Fiat?

Qui i punti decisivi sono la conferma degli investimenti a Mirafiori e alla Bertone, dove saranno costruite vetture Maserati. Ciò significa indubbie ricadute produttive e occupazionali su tutta la filiera automobilistica. Basti pensare che l’impegno di un miliardo della Fiat a Mirafiori si riverbera sull’indotto per un altro miliardo, dando respiro alla nostra economia.

E a livello Italia, in che modo avviare la ripresa?

Si tratta innanzitutto di dare una boccata di ossigeno alle imprese da parte di uno Stato “cattivo pagatore” che ha un debito verso il sistema produttivo di circa 80 miliardi. Sarà pur vero che manca la liquidità, ma se il settore pubblico onorasse i propri debiti si rimetterebbero in circolo risorse in grado di alimentare il ciclo produttivo. Per questo va fatto un plauso ai nuovi meccanismi di compensazione tra crediti e debiti dovuti dai contribuenti. Certo è necessario favorire gli investimenti anche perché, oggi come oggi, con tassi bancari dal 7 al 10 per cento, il ciclo economico non permette alle aziende margini tali da ripagare quanto preso a credito. E questo nei casi in cui si riesce ad ottenere il credito. Anche l’imposizione fiscale può favorire un clima propizio agli investimenti.

Con quali strumenti?

Immagino degli sgravi selettivi su ricerca e innovazione, valorizzando anche comportamenti virtuosi delle aziende come possono essere, in un Paese notoriamente afflitto da un certo nanismo produttivo, le aggregazioni di imprese mettendo insieme strutture e risorse per meglio competere. Penso a crediti di imposta automatici e non a iniziative sconsiderate come i famigerati click-day, in cui nello stesso momento tutti erano chiamati ad accedere, per via telematica, all’agevolazione in un'assurda gara contro il tempo che nulla ha a che vedere con oggettivi criteri di merito.

Come giudica la riforma del mercato del lavoro?

Si poteva fare di più. Bisognava avere più coraggio. La riforma va nella direzione giusta, eliminando alcune criticità, senza però risolvere alla radice il problema.

A quali criticità si riferisce?

Si sarebbe dovuto sancire che, salvo ben specificate necessità di contratti a termine, tutte le assunzioni debbano avvenire a tempo indeterminato, a fronte però di un art. 18 mantenuto soltanto per i licenziamenti discriminatori. Con la formulazione attuale tutto passerà invece nelle mani di un giudice con tempi lunghi e un contenzioso inimmaginabile.

Non si comprende però quest'opposizione frontale all'art. 18. In fondo il reintegro, dicono le statistiche, viene applicato in pochi casi all'anno.

E' vero, si tratta di pochi casi; ma sa quale è il reale problema?

Provi a spiegarcelo…

Il fatto è che il reintegro costituisce un fattore psicologico che impedisce alle aziende di avviare la procedura stessa di licenziamento e, per di più, le imprese preferiscono rimanere sotto la soglia dei 15 dipendenti, dove non si applica l'art. 18. Si crea un vero e proprio blocco dimensionale.

Un licenziamento economico libero non può significare anche possibili abusi?

Occorre difendere il lavoro e non il posto. Un'azienda cui viene garantita una certa flessibilità in uscita assume di più. Questo è indubbio. Se siamo un Paese che attrae pochi capitali stranieri è perchè abbiamo un mercato del lavoro poco attrattivo.

Sembra che quello del lavoro sia l'unico problema per le imprese...

Il mercato del lavoro resta uno dei punti su cui agire, poi è chiaro che servono interventi in tutte le direzioni, poiché siamo un Paese con un'amministrazione pubblica poco efficiente, in cui sono carenti le infrastrutture e con costi energetici ben superiori ad altri competitori.

Come vanno i rapporti con le banche?

Le banche hanno ricevuto ingenti risorse ad un tasso agevolato dell'1 per cento per poi utilizzarlo spesso per ricapitalizzarsi. E' tempo che mettano in circolo parte di quanto ricevuto per fornirlo alle imprese. Avrebbe dovuto essere la stessa Bce ad imporlo, come condizione per dar corso al finanziamento al circuito bancario. La liquidità costa troppo alle imprese e dunque solo le aziende più internazionalizzate riescono a reperire denaro su mercati diversi da quelli nazionali. Questo però ha una contropartita piuttosto pesante, perchè le risorse ottenute sono spesso vincolate ad investimenti da svolgere in loco. Si arriva così al paradosso che un'impresa italiana agevola i Paesi concorrenti dell'Italia.

Alcuni settori imprenditoriali tempo fa si espressero a favore di una patrimoniale. Quale è la sua posizione?

Mi pare che l'Imu abbia una chiara natura patrimoniale, per cui credo sia sufficiente. Ritengo peraltro incredibile che in Italia si continui a scaricare sui cittadini una spesa pubblica spesso inefficiente che la classe politica si mostra incapace di tagliare. Per favorire la crescita economica bisogna ridurre le spese e non aumentare le imposte.

Veniamo alla più drammatica attualità. Il terremoto ha colpito una delle aree più industriali del Paese. Quali misure adottare per le piccole e medie imprese?

In questi momenti drammatici lo Stato deve fare sentire la propria presenza e la propria forza. Sono quindi importanti gli interventi di primo soccorso per superare l’emergenza, ma anche la messa a disposizione di risorse, immediatamente spendibili, per riavviare al più presto le attività economiche e le imprese. Tornare al lavoro significa anche recuperare normalità.

Il ministro Fornero dice che solo da noi crollano i capannoni industriali, forse pensando a carenze sulla sicurezza. Che idea si è fatto in proposito?

La sicurezza sui luoghi di lavoro è regolamentata da norme ben precise e gli edifici superano collaudi piuttosto seri. Se le aziende erano operative è perché erano in regola. Piuttosto credo ci si trovi di fronte ad un evento naturale di portata inattesa in quest’area.

Nei giorni scorsi c'è stata la relazione annuale del governatore della Banca d'Italia. Quale è la sua valutazione?

Mi è parsa un’analisi corretta, di natura giustamente tecnica: rigorosa e propositiva. Concentrata sul tema della crescita ma attenta ai temi della credito, dell’eccessivo peso fiscale ed anche capace di fornire indicazioni chiare e praticabili su come fronteggiare la situazione di tensione finanziaria e monetaria a livello europeo.

Aldo Novellini



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