![]() Accesso utente |
Così il Concilio cambiò la ChiesaParrocchia di San Giulio d'Orta in festa per il 50° anniversario con una serie di incontri a scandire, nel corso dell'anno, questa importante tappa della comunità. Primo appuntamento con mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, sul tema «Educare a leggere i segni del tempo: a cinquanta anni dal Concilio Vaticano II». Mons. Bettazzi è uno dei pochi protagonisti conciliari ancora in vita. A quell'epoca, appena quarantenne, era vescovo ausiliario di Bologna, cattedra di cui era titolare Giacomo Lercaro, e si trovò a partecipare alla seconda, alla terza e alla quarta sessione del Concilio. Una testimonianza dunque in prima persona di questo fondamentale momento della vita della Chiesa. Va innanzi tutto ricordato che, a differenza del Vaticano I, indetto nel 1869 per ribadire alcuni punti dottrinali, il Vaticano II, promosso nel 1959 da Giovanni XXIII, fu un Concilio pastorale, volto cioè ad una complessiva riflessione sul ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo. Fu lo stesso papa Roncalli a far cenno alla necessità di una ventata di aria fresca nelle stanze della Chiesa. Una Chiesa capace di predicare il Vangelo entrando meglio in sintonia con i tempi nuovi che si stavano annunciando, con tutto il carico di problemi su cui era naturale che essa ponesse il proprio sguardo. Per mons. Bettazzi il Concilio «fu l'occasione per mostrare, anche visivamente, l'universalità della Chiesa, poiché tra i vescovi convenuti a Roma da ogni continente, ciascuno portava la propria esperienza e, per molti versi, anche la mentalità della sua terra di provenienza. Al termine dei lavori furono sedici i documenti redatti, di cui tre Dichiarazioni, nove Decreti, tra cui quello sull'ecumenismo, e quattro Costituzioni: sulla Chiesa (Lumen gentium), sulla divina rivelazione (Dei verbum), sulla Sacra liturgia (Sacrosanctum concilium), sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et spes). Ma al di là di tutto, il Concilio rappresentò una sede di ampio confronto tra verità di fede, comportamenti morali e mondo moderno con le sue ansie e le sue aspettative». D'altra parte la Chiesa stava cambiando il suo approccio verso la società. Significativo punto di svolta di questi nuovi orizzonti, l'enciclica Pacem in terris, promulgata da Giovanni XXIII nell'aprile 1963, una riflessione sul valore della pace e dell'armoniosa convivenza tra i popoli, messe drammaticamente a repentaglio nell’autunno precedente con lo scontro Usa-Urss sui missili cubani. Papa Roncalli volle dare al suo messaggio un respiro universale, parlando non ai soli cristiani ma a tutti gli uomini di buona volontà, perchè ci sono dei beni, e la pace è tra questi, che appartengono all'umanità intera. «Appare chiara», secondo Bettazzi, «l'impronta di una Chiesa che cammina con l'umanità e necessariamente deve trovarsi sempre a fianco dell'uomo, impegnato nelle difficoltà della vita concreta, proponendo una salvezza che è per tutti e non soltanto per i credenti. Il Concilio rappresentò per la cristianità un'autentica rivoluzione copernicana. Venne a mutare persino la concezione stessa della Chiesa, non più da considerarsi unicamente come gerarchia ecclesiastica ma come tutto il popolo di Dio. Tutti siamo Chiesa ed ogni cristiano, quando si pone al servizio del prossimo, è un profeta perchè in lui si manifesta la volontà di Dio». In questi decenni la società è profondamente mutata. Si è assistito ad un vero e proprio cambiamento di mentalità nelle persone che molto spesso prende la forma di un confuso relativismo etico che pare privo di qualsiasi bussola per orientarsi. Bettazzi è ben conscio di questa difficile situazione, ma ritiene che proprio in questi frangenti emerga il compito della Chiesa «chiamata a calarsi nella realtà che la circonda, sempre tenendo a mente che il mondo si trasforma con l'amore. Servono pazienza, perseveranza e una fiduciosa attesa della presenza e dell'azione dello Spirito santo». Uno dei frutti del Concilio è l'ecumenismo puntando, come diceva Giovanni XXIII, a valorizzare le cose che ci uniscono, a cominciare dalla pace, dalla giustizia e dalla salvaguardia del Creato. Per Bettazzi quello ecumenico è un cammino da percorrere fino in fondo, senza indugi, perchè in grado di avvicinare gli uomini, gli uni agli altri, e in questo modo scoprire in Gesù Cristo l'autentica sorgente della nostra vita. Altrettanto decisivo per i credenti è il confronto con chi non crede. Un arricchimento reciproco anche se Bettazzi ricorda che nei decenni scorsi, quando più forti erano le passioni ideologiche, questo rapporto era paradossalmente più facile. «Adesso tutto si è appiattito. Internet ci permette di conoscere ogni cosa, tutto e subito, ma il fatto è che spesso si tratta di nozioni pensate da altri e non elaborate da noi stessi. Per di più vi è il rischio di rimanere intrappolati in una dimensione banalmente orizzontale. Si da risposta al “come”, ma non al “perchè”, e vengono elusi altri più pressanti interrogativi: quelli legati al “cosa siamo” e al significato della nostra vita. In un mondo che moltiplica i canali dell'informazione e della conoscenza diventa difficile richiamare i valori profondi della nostra esistenza. L'essere umano ha due dimensioni, la ragione e l'intuizione, ed occorre agire su entrambe. La tecnica e l'organizzazione rispondono solo parzialmente ai bisogni dell'uomo, mentre l'intuizione ci porta a riconoscere il Creatore. Opera della Chiesa è dunque aiutare l'uomo in questa ricerca verso l'infinito». Più che mai c'è bisogno di una nuova evangelizzazione che per essere coerente con se stessa non può che richiamarsi ad una Chiesa povera e semplice. «In definitiva», ha concluso Bettazzi, «si tratta di vedere il nostro mondo con gli occhi dei poveri, tutelando e promuovendo le ragioni dei più deboli. E nessuno meglio della Chiesa può svolgere questa missione che ha come fondamento la dignità della persona umana. Tra i valori non negoziabili bisogna aggiungere la solidarietà con i poveri, perchè è su quel terreno che i cristiani mostrano realmente cosa significhi credere in Gesù Cristo, divenendo testimoni credibili della propria fede anche di fronte a chi è lontano». Aldo Novellini
|