![]() Accesso utente |
Riforma della giustizia, 12 punti da meditareNelle proposte lanciate dal premier Renzi e dal Guardasigilli Orlando per affrontare la “questione giustizia”, non ci sono promesse per globali riscritture di codici o leggi organiche, per le quali, probabilmente, i tempi non sono tra i più adatti e che in certi casi sarebbero addirittura sconsigliabili. Ci sono due novità di metodo, almeno a prima vista positive, soprattutto se si fa il confronto con tanti annunci, per altri versi analoghi, che si sono sentiti nel passato più o meno recente: da un lato manca, ad accompagnare le proposte, il solito sovraccarico di polemiche contro questo o contro quello; dall’altro vi è l’invito, a tutto campo ma a breve scadenza (due mesi, si è detto), a fornire rilievi e suggerimenti. Venendo al merito delle proposte, mi sembra più che apprezzabile, non solo e non tanto l’ impegno, che di per sé, al giorno d’oggi, dovrebbe darsi per scontato, per portare avanti l’informatizzazione integrale del sistema giudiziario, quanto il suo raccordo con l’assunzione, a un ruolo di vertice ministeriale, di Mario Barbuto, che tanto ha fatto nel distretto di Torino per velocizzare e semplificare le procedure, anche con stimoli e verifiche per rendere più effettiva la produttività di lavoro dei magistrati. Più problematica, invece, la valutazione che si può dare dell’ulteriore spinta a sottrarre all’ambito strettamente giudiziario larga parte dell’attuale contenzioso civile. Intendiamoci: è una tendenza, questa, fortemente positiva in via generale se, oltre a consentire un più razionale impiego di personale e di risorse materiali, può raffreddare le propensioni al litigio troppo diffuse nel nostro Paese, favorendo soluzioni conciliative e “mediazioni” al di fuori del processo (sempre a patto che così non si lascino i più deboli alla mercé di controparti arroganti o di faccendieri spregiudicati); ma per qualche aspetto ne emergono specifici motivi di preoccupazione, come sarebbe se, col ridurre ancor più separazioni e divorzi a una sorta di “fai da te”, si aggiungesse un altro “messaggio” legislativo, di incoraggiamento a un costume che fa del matrimonio una vicenda da vivere, forse, in un’atmosfera da sogno dans l’espace d’un matin (o di una serata) nella cornice di una sede prestigiosa della celebrazione, per trovare poi una rapida conclusione suggellata nel segno della più piatta routine burocratica. Nel campo penale, si segnala anzitutto il positivo proposito di rimediare ad alcune leggi in forte sospetto di essere ad personam e, comunque, produttive di indebite impunità: tali, quelle sul falso in bilancio e sulla prescrizione dei reati. A quest’ultimo riguardo, però, non dovrebbe trattarsi tanto di allungare i termini previsti dalla legge (di per sé già alquanto lunghi…), quanto, piuttosto, di fissare il momento dal quale il conteggio deve partire, almeno per certi reati “nascosti” badando non alla data della loro commissione, ma a quella in cui la notizia ne è pervenuta agli inquirenti, nonché di calibrare meglio i meccanismi che possono far interrompere il decorso dei termini stessi. In sostanza l’istituto della prescrizione dovrebbe funzionare soltanto come deterrente contro le inerzie ingiustificate e l’addormentarsi di pubblici ministeri e giudici sui “tempi morti”, nonché, all’opposto, contro le iniziative debordanti di magistrati troppo zelanti o in smania di protagonismo; ma non ha da trasformarsi in uno strumento che consente ai difensori di essere essi stessi a poter influire sullo scorrere dei tempi dei processi e dunque della prescrizione: e, quando si dicono queste cose, non è per farne una colpa agli avvocati, i quali usano a beneficio dei proprii clienti i mezzi che la legge prevede, ma per auspicare che non sia la legge ad agevolare certe distorsioni delle garanzie processuali. I problemi sono in parte legate all’ipertrofia delle impugnazioni penali. Difficile che possa passare la proposta, anche recentemente rilanciata da Giancarlo Caselli, di abolire totalmente l’appello: a renderla più che problematica, almeno in questa sua formulazione estrema, sono, a tacer d’altro, gli impegni internazionali dell’Italia, che nel quadro di una tutela dei diritti fondamentali dell’imputato attribuiscono all’interessato, com’è giusto, il diritto di far riesaminare nel merito, da un giudice diverso, la condanna subita. Però è pur vero che la giustizia italiana, nella sua elefantiaca lentezza, soffre anche dell’intasamento di un sistema che, praticamente unico al mondo, vede uno stragrande numero di processi percorrere immancabilmente tre gradi di giudizio (dopo il primo e il secondo, quello di cassazione). Da una parte o dall’altra occorrerà tagliare qualche ramo, anche a costo di un ritocco alla norma costituzionale che oggi impedisce di sottrarre al ricorso alla Corte suprema persino sentenze come quelle che avallano un patteggiamento e le condanne a pene pecuniarie minime. Altri, fra i dodici punti dell’annuncio di Renzi, riguardano argomenti che sinora hanno sempre rischiato di far prevalere, sulle esigenze dell’intera collettività, vecchie e nuove anomalie nel rapporto tra la magistratura e il potere politico: composizione del Csm, responsabilità civile dei magistrati, intercettazioni telefoniche... Sarà forse opportuno tornarci su, con una riflessione più specifica. Chiudo invece qui questa prima e sommaria analisi con un appunto su una riforma nel frattempo già varata con un decreto-legge che, anticipando in parte gli effetti di una riforma in discussione in Parlamento, ha subito messo in allarme magistrati e cittadini, consentendo l’uscita dal carcere di persone tuttora sotto processo, quando il magistrato presuma che un’eventuale condanna possa rimanere sotto il limite dei tre anni di reclusione. Orbene, in via di principio una norma del genere può anche essere opportuna, e non solo perché le prigioni italiane hanno urgente bisogno di essere decongestionate. A creare danni è il modo in cui è stata formulata, da un lato rimettendone l’applicazione a una valutazione liberamente presuntiva, dall’altro tralasciando qualsiasi distinzione tra i reati. Purtroppo la frittata, in parte, è già stata fatta: i decreti-legge sono immediatamente esecutivi e sembra che di questo abbiano già fruito dei rapinatori abituali e, forse tornando addirittura a convivere con le vittime, persone accusate di gravi fatti di stalking. Si spera perciò che, almeno, adeguate correzioni siano apportate mediante la conversione in legge del decreto. Così come occorrerà al più presto rimediare a un altro evento sconcertante, se sono vere le notizie: a quanto pare, sarebbero già state esaurite le scorte di quei “braccialetti elettronici” cui è affidata buona parte del funzionamento dei controlli sulle persone che anziché in carcere siano agli arresti domiciliari. Lì, forse, non è nemmeno questione del modo di scrivere le leggi. Potrebbe bastare un po’ più di avvedutezza nella distribuzione delle risorse finanziarie e nell’organizzazione della macchina burocratica. (1 – continua) Mario Chiavario
|