Boko Haram, l'odio anticristiano

Quello che sta succedendo in Nigeria (rapimenti di ragazze cristiane destinate a essere convertite a forza all’islam e sposate con musulmani, attentati terroristici contro chiese e contro chi guarda partite di calcio) si comprende solo se si riflette sul salto di qualità del movimento ultra-fondamentalista nigeriano Boko Haram, a partire dalla decisione di alcuni suoi dirigenti, maturata negli ultimi tre anni, di stabilire un legame organico con al-Qaeda.

Il patto di coordinamento fra due branche del movimento terroristico più noto al mondo, al-Qaeda nel Maghreb islamico e al-Qaeda nell’Africa dell’Est, e Boko Haram è stato siglato nel mese di maggio 2012. Per la prima volta in un documento di al-Qaeda l’obiettivo esplicitamente indicato è la «pulizia religiosa»: l’eliminazione dei cristiani dalle aree a maggioranza islamica dell’Africa subsahariana.

Boko Haram («La cultura occidentale è impura») è un movimento fondato nel 2001 in Nigeria da Mohammed Yusuf (1970-2009). Dopo la morte (sospetta) di Yusuf in carcere nel 2009, è passato al terrorismo. L'obiettivo è eliminare a suon di bombe i cristiani che vivono nel Nord della Nigeria a maggioranza islamica, mentre il Sud del Paese ha una maggioranza cristiana. Oltre diecimila cristiani sono stati uccisi in Nigeria dal 2001 a oggi. Benché Boko Haram sia un grande movimento, una cui ala vorrebbe ora aprire un dialogo con il governo nigeriano, la sua componente più radicale appare sempre più legata ad al-Qaeda , e conduce una guerra senza quartiere contro i cristiani.

Da qualche anno in effetti il cristianesimo (46,53 per cento) ha superato l’islam (40,46) nel continente africano, e ha una salda maggioranza a Sud del Sahara. Questa situazione è intollerabile per l’islam ultra-fondamentalista. Di qui la popolarità della causa della «pulizia religiosa» dei cristiani, che al-Qaeda, a partire dai suoi «emirati» in Somalia e in Mali, dove anche Boko Haram può rifornirsi di armi e di odio ideologico, cerca di egemonizzare e organizzare.

Per valutare la minaccia posta da Boko Haram occorre dunque riflettere su che cos’è al-Qaeda oggi. A proposito dell’organizzazione terroristica fondata da Osama bin Laden (1957-2011), si può enunciare una sorta di teorema: ogni volta che si pensa che sia finita, si ripresenta più forte di prima. Basterebbe ricordare l’imbarazzante avventura del sociologo francese Gilles Kepel, uscito in libreria con un libro che annunciava la fine di al-Qaeda il giorno prima dell’11 settembre 2011. Certamente al-Qaeda non è finita, ma si è trasformata più volte durante la sua storia. E oggi si dedica a qualcosa che in passato aveva trascurato e perfino condannato: le stragi di cristiani.

Al-Qaeda in arabo significa «la base» e all’origine è appunto questo: una base di dati, con i nomi di tutti gli attivisti musulmani che sono accorsi in Afghanistan a combattere contro l’invasore sovietico. L’idea è di un professore palestinese, Abdullah Azzam (1941-1989), che però, in contrasto con Hamas, è convinto che la “guerra santa” dell’islam vada combattuta dovunque se ne presenti l’occasione, senza privilegiare particolarmente la Palestina e lo scontro con Israele. Per evitare che Hamas gli faccia la pelle, Azzam si trasferisce a insegnare all’Università di Jeddah, in Arabia Saudita, dove ha come allievo un giovane miliardario desideroso di menare le mani, Osama bin Laden. Insieme, Azzam e Bin Laden combattono in Afghanistan e organizzano la base con i dati dei combattenti internazionali, appunto al-Qaeda.

Quando, nel 1989, bin Laden si sente in grado di prendere il comando dell’organizzazione, Azzam muore in un oscuro attentato a Peshawar, in Pakistan, insieme con i due figli, probabilmente ucciso dal suo ambizioso allievo saudita. Bin Laden può così reclutare un buon numero di veterani della guerra contro i sovietici in Afghanistan e trasformare al-Qaeda in un movimento terroristico classico, diverso per ideologia (islamica anziché comunista) dalle Brigate rosse, ma da queste non troppo dissimile per struttura e organizzazione. Bin Laden e il suo principale collaboratore, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri, sono terroristi tecnicamente preparatissimi, e possono contare sulla simpatia di un retroterra costituito da milioni di musulmani ultra-fondamentalisti.

I risultati sono dunque ben più devastanti di quelli delle Brigate rosse: gli attentati sono sempre più spettacolari, dal primo attacco del 29 dicembre 1992 a due alberghi ad Aden, nello Yemen (due morti), fino a quello del 7 agosto 1998 alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania (234 morti) e all’11 settembre 2001 (2.996 morti). È quella che possiamo chiamare «al-Qaeda 1»: forse la più letale organizzazione terroristica di tutti i tempi, ma pur sempre un movimento di terroristi di tipo classico.

Con gli attentati Bin Laden non vuole certo prendere il potere in Occidente, il suo scopo è che governi «amici» (ultra-fondamentalisti) sostituiscano i regimi modernisti (Egitto) o tradizionalisti (Arabia Saudita) nei Paesi a maggioranza islamica. Questi regimi, secondo bin Laden, stanno in piedi solo perché l’Occidente li sostiene. Attaccando direttamente gli occidentali con spettacolari attentati, pensa bin Laden, l’opinione pubblica si spaventerà e chiederà ai suoi governanti di disinteressarsi del mondo islamico. Questa strategia funziona solo parzialmente. Con la presidenza di George W. Bush, ben lungi dall'adottare una posizione isolazionista, gli Stati Uniti reagiscono vigorosamente agli attentati con le guerre in Afghanistan e in Iraq.

L’11 settembre porta, come effetto immediato, alla guerra contro il regime che ospita bin Laden, quello dei talebani afghani. La guerra smantella i campi di addestramento di al-Qaeda in Afghanistan e trasforma quella di nascondersi e sfuggire agli americani nella principale occupazione del suo gruppo dirigente, a partire dallo stesso bin Laden. Il super-terrorista riuscirà a eludere una delle più grandi caccie all’uomo della storia per dieci anni, finendo per essere ucciso ad Allottabad, in Pakistan, solo il 2 maggio 2011. Ma nel frattempo la capacità di bin Laden, di Zawahiri e dei loro principali collaboratori di dirigere un’organizzazione terroristica di tipo classico era stata completamente disarticolata. Nasce così «al-Qaeda 2».

Se fino al 2001 «al-Qaeda 1» è un movimento che addestra terroristi, sceglie le missioni e le porta a termine gestendole direttamente, dopo l'11 settembre e la guerra in Afghanistan «al-Qaeda 2» è un network che opera secondo il principio del franchising. Gruppi autonomi, non creati da al-Qaeda, progettano gli attentati “ispirati” dai documenti di bin Laden e Zawahiri. Quindi si rivolgono alla “cupola” di al-Qaeda per suggerimenti, armi, denaro, talora ricevendo addestramento in aree tribali del Pakistan o in Somalia. Infine, eseguono gli attentati autonomamente. Un tragico esempio di questi attentati “in franchising” é la strage di Beslan nell'Ossezia del Nord, in Russia, del 2 settembre 2004, l’«11 settembre dei bambini», con 334 morti di cui 186 appunto bambini. I teatri principali dove opera il network di gruppi autonomi ispirati da al-Qaeda sono Algeria, Yemen, Cecenia, Somalia, Kashmir (da cui vengono gli autori dell'attacco agli hotel di Bombay, in India, che dal 26 al 29 novembre 2008 fa 164 morti), Filippine, Thailandia, Indonesia. In quest'ultimo Paese il 30 ottobre 2005 quattro allieve che si recano a una scuola cristiana a Poso, nell’isola di Sulawesi, cadono vittime di un’imboscata da parte di terroristi addestrati dal network di al-Qaeda nelle Filippine. Alfita e Yarni, di 17 anni, e Theresia, di 15, sono decapitate. Noviana, 15 anni, si salva quasi miracolosamente. Questo orribile episodio è il primo attacco del network di al-Qaeda giustificato come «pulizia religiosa» anti-cristiana.

Il network mostra la sua capacità di colpire anche in Europa, con gli attentati dell'11 marzo 2004 a Madrid (191 morti e 2.050 feriti) e del 7 luglio 2005 a Londra (52 morti e 700 feriti). Quello di Madrid è un riuscito attentato “elettorale”, che, certo anche per gli errori del primo ministro di centro-destra spagnolo, a tre giorni dalle elezioni politiche ne rovescia il risultato, che sembrava già scritto a favore di José María Aznar, portando al potere il socialista José Rodríguez Zapatero, meno favorevole alla politica di guerra al terrorismo di Bush. Già durante la vita di bin Laden, però, al-Qaeda pensa a un superamento della seconda fase e alla propria trasformazione in una rete che coordina non solo gruppi terroristici, ma anche forme di guerriglia legate a cause locali. L'obiettivo, molto ambizioso, è di controllare territori dove si formino «emirati», piccoli Stati con un proprio esercito, una polizia, una bandiera, talora anche una moneta, anche se ovviamene privi di riconoscimento internazionale.

Il primo esperimento è al-Qaeda nella Terra dei due fiumi (poi al-Qaeda in Iraq, Aqi). Si tratta, originariamente, di uno sviluppo del network: un gruppo sunnita pre-esistente, passato sotto il controllo del giordano Abu Musab al-Zarqawi (1966-2006), entra ufficialmente in al-Qaeda nel 2004. Un terzo di tutti gli attentati in Iraq dopo l'intervento americano è opera di Aqi, che fa circa trentamila morti. Ma il prezzo è altissimo. La strategia della «carta moschicida» del segretario di Stato americano Condoleeza Rice attira consapevolmente in Iraq terroristi del network di al-Qaeda da tutto il mondo, e oltre 15 mila sono uccisi.

Alla fine l’esperimento fallisce, perché Zarqawi non solo perde troppi uomini, ma è incontrollabile, e le sue sistematiche uccisioni di sciiti danneggiano il delicato gioco diplomatico che al-Qaeda persegue con la casa madre dell'islam sciita, l’Iran. Il 7 luglio 2006 Zarqawi è ucciso dagli americani. Benché Bin Laden e Zawahiri celebrino il «martire» e il «leone del jihad» in messaggi audio e video, molti pensano che sia stata la stessa al-Qaeda a fare arrivare negli Stati Uniti le informazioni che hanno permesso di localizzare e uccidere l’ormai scomodo Zarqawi.

Ma il sogno di una «al-Qaeda 3», che controlli veri e propri staterelli ultra-fondamentalisti, non muore con Zarqawi e neppure con bin Laden, e oggi è perseguito dalla cupola di al-Qaeda, che si trova ancora nelle aree tribali del Pakistan. Afghanistan a parte, al-Qaeda dopo bin Laden appare articolata in sei principali organizzazioni: al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi), al-Qaeda nella Penisola arabica (Aqap), al-Qaeda in Palestina (Aqp), al-Qaeda nell’Est Africa (Aqea), al-Qaeda in Iraq (Aqi) e al-Qaeda in Siria (Aqs). Questi gruppi costituisco propriamente «al-Qaeda 3». Ciascuno mira a prendere il controllo di un territorio e a fondare un emirato. Rimangono alleati nel network, ma non tecnicamente parte di questa al-Qaeda versione 3, i gruppi in Cecenia, Kashmir, Filippine, Indonesia, Thailandia. E alleati specialissimi sono i talebani afghani e i gruppi separatisti che operano nelle aree tribali del Pakistan, i quali nei progetti della cupola di al-Qaeda dovrebbero, sotto la guida del mullah afghano Omar, costituire nuovamente nei prossimi anni il più grande degli emirati ultra-fondamentalisti.

Meritano attenzione per la Nigeria gli emirati di al-Qaeda in Mali, disarticolato dall’offensiva francese, ma non completamente scomparso, e in Somalia. Quest’ultimo è legato ad al-Shabaab («Movimento della gioventù combattente»), un gruppo che rappresenta la fazione più radicale delle Corti islamiche, l’organizzazione che oggi controlla gran parte della Somalia. Nel 2010 al-Shabaab si dichiara parte di al-Qaeda. Nel febbraio 2012, però, il movimento si divide in due gruppi rivali, e una fazione prende il nome di al-Qaeda nell’Est Africa (Aqea). È in Somalia e in Mali che Boko Haram trova i suoi interlocutori che lo fanno evolvere da gruppo locale a cellula di un network terroristico internazionele.

«Non ci sono cristiani in Somalia, ci sono solo apostati. Un musulmano non può diventare cristiano: può solo diventare apostata. Non c'è posto per gli apostati in Somalia: non riconosciamo loro il diritto di esistere, solo quello di morire, e li uccideremo tutti». Queste parole di Nur Barud, esponente di al-Qaeda in Est Africa, riassumono il programma di persecuzione dei cristiani che è diventato un marchio di fabbrica di al-Qaeda 3, dal Mali alla Nigeria.

Benedetto XVI aveva scritto nella sua esortazione apostolica post-sinodale «Ecclesia in Medio Oriente» del 14 settembre 2012 che «le incertezze economico-politiche, l’abilità manipolatrice di certuni ed una comprensione insufficiente della religione, tra l’altro, costituiscono la base del fondamentalismo religioso». «Esso vuole prendere il potere, a volte con violenza, sulla coscienza di ciascuno e sulla religione per ragioni politiche». «Utilizzare le parole rivelate, le Sacre Scritture o il nome di Dio, per giustificare i nostri interessi, le nostre politiche […] o le nostre violenze, è un gravissimo errore» Occorre dunque, conclude il Papa, «sradicare questa minaccia». Papa Francesco ha ribadito questi concetti nel suo recente viaggio in Terrasanta.

Ma «sradicare» il movimento più pericoloso del terrorismo ultra-fondamentalista, al-Qaeda, una volta che ha preso il controllo d'interi territori con i suoi emirati (nel Mali, nello Yemen, nel Sinai, in Somalia e appunto in Nigeria, senza contare i suoi alleati talebani che controllano buona parte dell'Afghanistan) significa strappargli questi territori. Questo implicherebbe azioni militari che, nell'attuale situazione economica e politica, l'Occidente è molto riluttante a intraprendere, se si eccettua quanto è avvenuto in Mali. Al-Qaeda lo sa e, forte dei suoi «emirati», non è mai stata tanto potente come lo è oggi. A farne le spese sono soprattutto le minoranze cristiane.

Massimo Introvigne



SIR | Avvenire.it | FISC

PRELUM Srl - P.I. 08056990016