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Tutti chiamati a dare il Vangelo con la gioia«Annunciare la Parola di Dio nel segno della gioia», cioè con uno stile partecipato, festoso e con messe celebrate anche all’aperto per coinvolgere tutta la comunità. «Scoprire Dio come sorpresa inaspettata»: se davvero Gesù ha cambiato la nostra vita, noi per primi dovremmo farci testimoni evidenti della sua luce e della nostra fede. «Progettare una Chiesa in uscita», non chiusa nelle sacrestie, ma capace di andare oltre i luoghi della catechesi per avvicinare la gente là dove vive, lavora, studia o soffre. «Proporre un “ministero dell’accoglienza”» perché ogni singola parrocchia venga percepita come una «soglia» e non una «dogana». Sono solo alcune delle proposte portate all’attenzione dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, al termine del lavoro dell’Assemblea diocesana sul tema «L’amore più grande» (dal motto dell’Ostensione della Sindone 2015), che si è chiusa venerdì 13 giugno al Santo Volto, in un centro congressi gremito di parroci, religiosi e religiose, diaconi ma anche tanti operatori pastorali, catechisti e animatori. Le indicazioni emerse dal confronto finale serviranno per elaborare gli orientamenti della Lettera pastorale del prossimo anno che si svilupperà, ha anticipato mons. Nosiglia, su tre capitoli: l’iniziazione cristiana (cioè il cammino di preparazione ai sacramenti del battesimo, dell’eucarestia e della cresima), il Sinodo dei giovani e le prime indicazioni dell’Agorà del sociale sui temi dell’educazione, del lavoro e del welfare, che saranno oggetto da settembre in avanti di un ampio confronto tra le diverse realtà ecclesiali e civili. «Cristiani non si nasce, si diventa», scriveva il teologo Tertulliano nella seconda metà del II secolo. E aveva ragione. Ma oggi, in una società sempre più secolarizzata, educare alla fede le nuove generazioni non rischia di diventare una mission impossible? La domanda è arrivata da un parroco, in uno dei primi interventi che venerdì scorso hanno rotto il ghiaccio portando all’attenzione dell’assemblea diocesana una prima, importante considerazione. Il dubbio non è peregrino, come dimostrano i dati: la Chiesa da quarant’anni insiste sul «primato dell’evangelizzazione», ma le famiglie che frequentano la messa domenicale (così come i giovani) sono in caduta libera, anche se tiene il numero dei bambini ammessi alla Prima comunione. Il rischio è che la parrocchia venga percepita come «un’agenzia di servizi», appiattita sull’ansia di «prestazioni sacramentali»... quando invece il suo primato dovrebbe essere l’evangelizzazione. Da qui la seconda domanda, se possibile ancora più dirimente della prima: «Siamo ancora capaci di comunicare la fede e di educare alla fede le nuove generazioni?». L’interrogativo parte da una considerazione molto concreta: è vero, le famiglie iscrivono i loro bambini al catechismo in parrocchia per la Prima comunione, ma poi non vengono a messa la domenica per celebrare l’eucarestia. Da qui la proposta: non sarebbe il caso di investire anche su altre agenzie educative, lavorare su altre forme di evangelizzazione, coinvolgendo congregazioni religiose, scuole cattoliche, movimenti e associazioni in una logica di relazione e di scambio? «Dobbiamo tornare a fare quello che facevano i primi discepoli», ha detto accorato un sacerdote di San Francesco al Campo, piccolo comune nel Canavese, in provincia di Torino. «Attenzione», ha aggiunto un altro sacerdote, «l’eucarestia non deve mai essere considerata un arrivo, semmai un inizio…». «Dobbiamo metterci in ascolto degli adulti e dei bambini offrendo storie di vita concreta: la testimonianza è tutto». Di fronte alla complessità dei problemi del nostro tempo, aveva detto in apertura dell’Assemblea diocesana don Ferruccio Ceragioli della Facoltà teologica torinese, «ma forse anche di fronte alla radicalità del Vangelo riproposta da papa Francesco e dalle sue indicazioni per la vita della Chiesa, la tentazione potrebbe essere quella dello scoraggiamento e della rinuncia sentendosi chiamati a una missione impossibile. Non è questo certo lo scopo del Papa. Egli ci ricorda che oggi non è più difficile che in altri periodi della storia della Chiesa, è solo diverso. E soprattutto non siamo soli». È vero, sacerdoti e religiosi possono contare su una schiera di laici preparati e impegnati in prima linea nell’opera di evangelizzazione. Prima dei catechismi, ricorda mons. Nosiglia nelle sue conclusioni, ci sono i catechisti. E prima dei catechisti c’è una comunità ecclesiale. «Come non è pensabile una buona catechesi senza l’apporto di catechisti qualificati, così non è possibile avere frutto dalla catechesi senza la viva partecipazione responsabile dell’intera comunità cristiana». Da qui la proposta di puntare sulla formazione permanente dei catechisti che devono essere ad un tempo «testimoni, maestri, educatori e anche artisti che sotto la guida dello Spirito creano cose nuove, per cui la catechesi che svolgono è loro, inconfondibile, viva, magari modesta, ma, se sorretta dalla carità, sempre feconda». Per questo sarà potenziata la Scuola di formazione diocesana per operatori pastorali e, se possibile, portata sul territorio, in modo da favorire la partecipazione dei laici alla cabina di regia della comunità. Mons. Nosiglia non nasconde i problemi. «Solo un forte e capillare rilancio missionario può destare le nostre comunità da una rassegnata gestione, ad uso interno, dell’ordinario e da un debole e poco incisivo annuncio di Cristo e del suo Vangelo negli ambienti e situazioni di vita e verso le periferie esistenziali in cui vivono oggi tante famiglie, povere non solo di beni, ma di speranza e gioia di vivere». E proprio nella gioia sta il segreto della vera catechesi. Sant’Agostino invitava i suoi catechisti a preoccuparsi non solo del «che cosa» trasmettere, e nemmeno del «come» trasmetterlo, ma del fatto di svolgere il loro compito con la vera gioia del cuore. «Il fervore e l’entusiasmo del catechista», ha detto l’arcivescovo di Torino, «sono contagiosi e suscitano delle domande: perche tu ci credi e in modo così convinto?». L’idea di mons. Nosiglia sulla catechesi è chiara. Ogni bambino e ogni ragazzo che frequenta la parrocchia deve sentirsi protagonista, soggetto attivo e creativo, non semplice destinatario. Solo così un giovane è stimolato «a farsi esso stesso missionario» nelle proprie case, nelle scuole, negli oratori per portare a tutti la gioia dell’annuncio. Ed ecco i punti che secondo l’arcivescovo sono determinanti per rinnovare l’impianto catechistico: ripartire dai testi sacri, la Bibbia e il Vangelo, aggiungendo però la testimonianza del catechista, «perché l’uomo moderno ascolta più volentieri i testimoni, che i maestri»; superare il «modello scolastico» della catechesi (classi secondo l’età, cammini similari per tutti, tappe prestabilite a priori, svolgimento di un programma fatto di didattica presa in prestito dalle scuole); non si dovrà più parlare di «Prima comunione», ma di «celebrazione dell’eucarestia con la piena partecipazione dei fanciulli», l’eucarestia domenicale verrà quindi posta al centro degli itinerari di catechesi quale sacramento culmine e fonte di tutta la vita cristiana. A settembre la Chiesa di Torino riparte da qui. Cristina MAURO
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