La forza della povertà

Ha un cognome che riconduce nei suoni alle asprezze delle montagne del Vorarlberg, la regione austriaca al confine con la Svizzera, il Liechtenstein e la Baviera in cui è nato nel 1946, e di quei luoghi conserva la gentilezza e la riservatezza. Eppure padre Georg Sporschill non può passare inosservato grazie alla sua fisicità forte, ma soprattutto al volto sempre pronto a sorridere. Quinto figlio di nove fratelli, dopo essersi ritrovato a vivere gli scoppi del Sessantotto a Parigi e aver preso parte allo spirito di cambiamento di quei giorni, ha deciso di dare una risposta profonda alle sue inquietudini abbracciando a trent’anni la vita religiosa.

Una scelta che è stata solo l’inizio di un percorso di condivisione con i ragazzi difficili, termine con cui si accomunano tante forme di disagio dei più giovani, e che negli anni è diventata una casa illuminata per chi non ha una famiglia dove tornare. Le tappe di questo cammino per nulla scontato si possono leggere oggi nel libro di Stefano Stimamiglio, vicecaporedattore di «Credere e Jesus», «Chi salva una vita salva il mondo intero», edito da San Paolo.

Conosce la lotta di classe, padre Georg, i suoi riferimenti ideologici e l’attenzione per chi resta alla base della piramide sociale: oltre all’anno trascorso alla Sorbona, prima di concludere gli studi teologici, i corsi universitari in psicologia e pedagogia lo portano a lavorare come operatore sociale in case di accoglienza per minori e nelle carceri. Diventa pure assistente universitario alla Facoltà teologica di Innsbruck e consulente stabile in materie sociali per la regione Vorarlberg: i moti di rivolta e l’esperienza lavorativa sembrano averlo collocato nel posto giusto, eppure qualcosa manca. In quel periodo ha anche una fidanzata, la prospettiva sembra aprirsi sul matrimonio e una vita serena. Eppure nel cuore vive una sensazione di morte, quell’orizzonte non basta.

Il periodo di discernimento lo porta a mettere in discussione tutto e a scegliere di entrare nella Compagnia di Gesù: in poco tempo, diventa assistente spirituale per i giovani nella parrocchia di Lainz, in provincia di Vienna, e rapidamente il suo interesse per i ragazzi problematici lo porta a lavorare alla Caritas e ad aprire delle case per drogati, senza tetto, ex carcerati, facendosi aiutare proprio da alcuni giovani della parrocchia. Il ponte tra due mondi diversi, tra poveri e benestanti, diventa realtà e il concetto della lotta di classe perde definitivamente corpo, perché basta aprire il cuore al prossimo e mettere in atto le parole del Vangelo.

Con il crollo della dittatura di Ceausescu, la capitale rumena si riempie di bambini e ragazzi fuoriusciti dagli orfanotrofi di stato: la Gara de Nord della stazione di Bucarest diventa rapidamente il rifugio di centinaia di minori, che si riversano nei sotterranei in cerca di riparo. Elemosina, furti, prostituzione, droga: questo l’orizzonte di cui è fatta la loro sopravvivenza. Ed è qui che padre Georg viene mandato nel 1991, senza sapere nulla di quella terra.

Dovevano essere sei mesi, sono diventati più di vent’anni, durante i quali nasce l’associazione «Concordia», il centro sociale St. Lazarus, come primo punto di contatto per i ragazzi di strada, e una serie di case dove sperimentare la vita di comunità, poter frequentare la scuola, formarsi per un mestiere e intraprendere un percorso verso l’indipendenza.

«Amo la Bibbia sopra ogni cosa e per il mio lavoro sociale è l’unico libro di cui ho realmente bisogno: nessun assistente sociale è migliore di Gesù», afferma padre Sporschill. «In essa si trovano tutti i temi che affliggono gli uomini, la mancanza di fede, la violenza, le famiglie difficili, gli abusi sessuali. Dio mi sorprende ogni giorno perché dona a ciascuno la strada per continuare. Quando ho aperto il centro St. Lazarus, dove ogni sera cento giovani possono venire dalla strada per lavarsi, mangiare, dormire, avevo nominato un collega forte per dirigerlo, ma dopo una settimana aveva dato le dimissioni. Pur offrendo il doppio di stipendio nessuno voleva prendere il suo posto, perché ogni giorno i ragazzi lottavano tra loro, spaccavano le finestre, e si era costretti a chiamare la polizia. Si aveva paura di loro. Fui tentato di lasciar perdere per la troppa violenza, poi pensai di proporlo a una donna minuta con cui collaboravo, Ruth. Lei accettò, si trasferì nell’edificio, abbellì gli spazi comuni, con tovaglie bianche, quadri, fiori su ogni tavolo da pranzo. Introdusse anche la preghiera prima dei pasti: così per quindici anni non si è mai più dovuto chiamare la polizia. Ho imparato che i segni d’amore sono più forti degli uomini più forti».

C’è un altro motivo che ha portato questo sacerdote ad essere ospite al decimo Festival biblico di Vicenza: il suo nome comparve infatti sulla copertina di un libro scritto insieme al cardinale Carlo Maria Martini, «Conversazioni notturne a Gerusalemme», uscito nel 2008, in cui in forma di intervista si dipana un dialogo franco tra l’ex arcivescovo di Milano e il confratello austriaco. Un confronto che semina riflessioni anche audaci sulla capacità della Chiesa di essere in ascolto dei giovani, ma anche un testo che conferma una stima e un affetto reciproco tali da spingere Martini a voler incontrare padre Sporschill per un’ultima conversazione, passata alla storia come il suo testamento spirituale. Celebre l’affermazione con cui il «Corriere della Sera» titolò l’articolo che ne derivò, «La Chiesa è indietro di duecento anni», e pubblicato il 1 settembre 2012, il giorno seguente alla morte del cardinale.

Dal primo incontro, avvenuto trent’anni prima, quando il neo arcivescovo di Milano tenne una conferenza sulla pastorale nelle carceri a Vienna, il percorso dei due gesuiti ha seguito strade diverse, ma strettamente connesse nei riferimenti e nelle priorità, entrambe con al centro l’attenzione agli ultimi. «Martini aveva un grande amore per i poveri e i carcerati», continua padre Sporschill. «Mi colpiva che fosse perfettamente cosciente dei suoi limiti, uno tra tutti il suo essere prudente e pauroso. Lo diceva lui stesso e proprio per questo la sua parola per gli altri era sempre “Coraggio!”. Conosceva la sua debolezza e l’ha fatta diventare qualcosa di buono. Non aveva un cuore dogmatico, ma biblico perché in esso tutto trovava un posto. Amorevole, attento, non giudicava. Dava fiducia e stima alle persone».

Qualità umane che si univano alla capacità di visione sul presente e il futuro della Chiesa, analizzata a più riprese negli ultimi anni della sua vita con profondità e trasparenza, tanto da far pensare che la sua visione abbia anticipato e forse promosso l’arrivo di papa Francesco. «Quando Martini era prossimo alla morte, ciò che è giunto dopo non era nemmeno in vista, però lui continuava a pregare perché cambiassero le cose», prosegue il gesuita austriaco. «Auspicava che ogni vescovo si circondasse di persone che conoscono da vicino le povertà, anzi, diceva proprio di circondarsi di persone un po’ pazze, capaci di portar la voce della realtà, dei più poveri, altrimenti si rischia di non capire più il mondo. E oggi abbiamo un Papa che da vescovo e cardinale è sempre rimasto in mezzo agli ultimi: sembra quasi una risposta alle idee di Martini».

Di quell’articolo-testamento resta però una domanda, rivolta a chiunque desideri dialogare con il cambiamento e cercare di comprendere dove soffi lo Spirito. «E tu cosa puoi fare per la Chiesa?», la frase con cui il cardinale chiuse la sua intervista, ha incontrato innanzitutto la vita di padre Georg. «Se ti dedichi alle cose difficili hai già incontrato Gesù», conclude il sacerdote. «Se incontri qualcuno che ha bisogno di te, hai già trovato un compito nella tua vita che ti aprirà gli occhi. Auguro a ciascuno che i poveri possano diventare i suoi insegnanti spirituali. Sono i bambini di Bucarest che mi hanno mostrato cosa significa la carità e mi hanno raccontato di Dio. La forza per andare avanti, anche in momenti molto difficili, te la danno quelli che te la tolgono».

Fabiana Bussola



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