Renzi e Marchionne: lezioni a Trento

Quattro giorni, dal 30 maggio al 2 giugno, Trento capitale (con la minuscola) nazionale. Un Festival tutto intero sull’economia, giunto alla nona edizione, di alto richiamo, nomi e numeri introdotti dall’iniziativa della Provincia autonoma e di forze consociate. In città, Premi Nobel in prima persona, uomini di governo, grandi editori (tremila titoli nell’offerta libraria settoriale), giornalisti e notisti di settore, turisti del pensiero anche a “vedere” la città. Una cartolina da un territorio che sa guardare lontano, con tutti gli ornamenti di riguardo bene esibiti, un “pieno” saggiamente predisposto. Gagliardo, il Festival, anche nell’intestazione provocatoria.

Da leggere e da rileggere il titolo: «Classi dirigenti, crescita e bene comune». La ripresa c’è, dopo sette anni di crisi che hanno ridotto di un decimo i redditi delle famiglie e di un quarto l’attività industriale. Ma è fragilissima. Le esportazioni sono tornate ai livelli del 2007, gli investimenti, tuttavia, sono crollati del 26 per cento; in rapporto al Pil sono al livello più basso del dopoguerra. I guadagni di produttività sono essenziali, ma serviranno a poco se non si tradurranno in un aumento della domanda e soprattutto in un recupero dell’occupazione. Tra il 2007 e oggi si è perduto un milione di posti di lavoro. E i giovani, nella rilevazione Istat, il lavoro vanno a cercarlo oltre confine, soprattutto in Germania e in Inghilterra.

L’occorrenza sottolineata del bene comune (quasi anche a riscrittura di famose encicliche di Chiesa) significa affondare le mani e gli occhi nel tema dei temi. Facile parlare di classi dirigenti, di attualità drammatica. Occorre affiancarle al problema della crescita. In particolare, in alcuni ambiti, le classi dirigenti hanno spesso considerato il bene comune l’ultimo dei loro problemi e la crescita è stata guardata con una egoistica miopia che ha condizionato non solo il motore, ma l’intera macchina. «In Italia si è determinata una grave frattura tra interesse privato e bene comune», ha scandito all’inaugurazione del Festival Gregorio De Felice, capo economista di Banca Intesa. Tito Boeri, l’economista bocconiano “prestato” al Festival sin dagli albori, ha affermato che «le classi dirigenti sono spesso invisibili ai più». Noi, «per di più», in un’Europa «acefala». Non c’è, insomma, un biglietto d’ingresso per spalancare le porte di un club tanto potente quanto indefinibile. Tuttavia, con speranza e coraggio, il Festival ha aperto il discorso anche alle donne. Si dice “quota rosa”. Il titolo femminile, applicato al tema in questione, è risultato eloquente di suo: «Rompere il soffitto di vetro: più donne ai vertici», questo il primo tema applicato al dibattito generale. Una parità di genere, in Italia, è ancora molto lontana da realizzarsi. Nel 2013 le donne presenti nei cda erano il 16 per cento e quelle che ricoprivano l’incarico di presidente solo il 3 per cento. Perciò, nella sala della Filarmonica, sono fioccati discorsi di traguardi armoniosi «tutte donne».

Quali ispiratori, progenitori, di temi affronatti al Festival? Quali le attese non andate deluse? Matteo Renzi e Sergio Marchionne, i supertitolati. Determinati, ironici, spesso urticanti, senza guardare in faccia nessuno. Il presidente del Consiglio e l’amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles, uno sulle linee di governo, l’altro a commentare un suo libro, «Made in Torino». L’amministratore di Fca è tornato a Trento dopo sei anni. Allora disse: «L’Italia ci fa scappare». Ne parliamo più avanti. Nel contorno, da subito, alcune linee di dibattito, qualificato. Esempio: tra liberali e keynesiani, quanto pesa la corruzione sull’economia italiana (dialogo tra Luigi Zingales e Massimo Mucchetti)? Politici o banchieri, chi governa davvero in Europa (Stefano Lepri de «La Stampa» in tavola rotonda con London School e Bundesbank)? L’astronave della politica, tra primarie, larghe intese e cambiamento, quali esiti (confronto a mezzo scontro tra Forza Italia, Cinque Stelle e Pd in vogliosa evidenza)?

Anche la “abdicazione” della politica ha fatto parlare: quali favori nella burocrazia di Stato (Tito Boeri e Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia)? Un Premio Nobel, James M. Snyder: le elezioni primarie migliorano la democrazia? E ancora, con David Stromberg: quanto contano i media nelle campagne elettorali? Nel finale, a Rovereto, arriva in trasferta l’intrigante scoiattolo arancione, simbolo del Festival. Si è fatta una “notte verde” discutendo di cibo e di ambiente (proposta di Alta Scuola per l’ambiente della Cattolica di Milano). Anche la scuola giovane coinvolta, diciotto le regioni interessate, 53 le Province, un concorso a premi (presenza a Trento) sul tema del bene comune.

Nello svolgersi del dibattito, a cento ore complessive, anche sentenze “brevi” tra Premi Nobel e alfieri del gran vedere “economicista”. Centrale, in ogni affondo, l’Europa. «Poche illusioni, piedi per terra», dice Renzi, «in Europa ci si va per fare valere le nostre idee sul futuro dell’Unione e non solo per farsi fare la lezione». In sostanza, occorre aprire un confronto di idee finora soffocato dai conflitti d’interesse tra i Paesi. Un dialogo serio, costruttivo sul futuro dell’Unione, non puramente sull’assestamento delle sedie di governo. Quello, necessario, dopo aver calibrato le “idealità”. Da ribadire, i livelli di integrazione fra i mercati, anche da condeterminare la filosofia di fondo tra competitività e solidarietà. In ogni caso, livelli di efficienza.

All’ultima giornata, come accennato poco sopra, si scatenano in due, Renzi e Marchionne. Stracolme le assemblee. Renzi istrione tra gag e riforme, Marchionne che sfida anche i tedeschi. Fondamentale per il premier: entro luglio ci sarà il decreto “sblocca Italia”, per realizzare opere ferme da quarant’anni a causa di intralci burocratici. Da una riforma al mese, tra febbraio e giugno, annunciate nel giorno dell’insediamento, Renzi è passato a cinque riforme in un mese. Il tutto prima del 2 luglio, data in cui l’Italia inizierà il suo semestre europeo.

Di suo, Marchionne: «Confermo che investiremo 5 miliardi di euro in Italia, per produrre le nuove Alfa Romeo, rioccupando tutta la forza lavoro degli operai, senza eccedenze. Non però per vendere le automobili nel mercato interno, che è troppo debole, ma per esportarle negli Stati Uniti e in Cina, dove sfideremo Bmw e Volkswagen». Il progetto era stato delineato il 6 maggio a Detroit, ma l’amministratore delegato di Fca ha scelto il Festival dell’economia di Trento per rilanciare l’annuncio. Torna Renzi, rassicurante. Ossequiate le istituzioni regionali, là dove lo meritano, si compiace del novello fervore dei comparti industriali. Prosegue: «La gente starà con noi perché non si possono continuare a difendere sacche di privilegi e di sprechi, ognuno deve fare la sua parte». E annuncia anche un nuovo metodo di lavoro governativo: a Palazzo Chigi stanno pensando di costituire, sul modello degli Stati Uniti, un Consiglio del presidente, una sorta di task force che rappresenti la vera cabina di regia dell’esecutivo.

Conclusione tra i libri, in versione zootecnica. Da Harvard l’analisi dell’Italia che galleggia, a firma Marco Magnani, parmigiano d’America, insieme a Mario Draghi: «Sette anni di vacche sobrie (dal 2013 al 2020)», titolo biblico e spiazzante. Sul fianco di una delle suddette vacche, raffigurate in copertina, una chiazza a forma di Italia. Un Paese che non deve andare in vacca.

Giorgio Grigolli



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