Chi siamo

«il nostro tempo»: 1946-2006

Sessant'anni, nella speranza di vita media dell'uomo nel Ventesimo secolo, non sono molti. E non sono molti nemmeno nella vita di un giornale, anche se il “Secolo breve” ha offerto, in questi sessant'anni, tali e tante novità e vicende sconvol­genti da creare in ciascuno di coloro che li hanno vissuti una specie di sgomento retrospettivo: come abbiamo fatto a sopravvivere spiritualmente e intellettualmente a tanti olo­causti di ideali e di norme etiche, a tanti naufragi di ideologie e di modi di vivere, a tante rovinose cadute di uomini e di idoli, senza perdere consapevolezza e fiducia in noi stessi?

Noi possiamo solo rispondere, qui, offrendo un'ipotesi, umile ma ragionevole, di come ha fatto a sopravvivere questo gior­nale in questi suoi primi sessant'anni di vita: lo ha fatto tenendosi fedele a quanto scrisse il suo primo direttore, don Carlo Chiavazza, nella presentazione del numero inaugurale de «il nostro tempo», nel 1946, là dove sintetizzava il bisogno dei cattolici in quel primo scorcio di pace dopo l'immane tragedia della Seconda guerra mondiale: quello di "rivivere" «nell’unità, nel­l'audacia, nell'umanità».

Don Carlo ChiavazzaSi trattava, diceva don Carlo, di ridare al cattolici italiani una coscienza forte ed esigente dei compiti che li attendeva­no, e che imponevano loro di riscattarsi da una stagione di “timidezze”, da «cristiani statici» che avevano prodotto «verso la religione, la Chiesa, verso il proprio credo biascicato un sentimento di tolleranza senza vero rispetto». Essi avevano rifiutato «le esperienze religiose vitali», si erano affaticati «a tagliare le ali al Vangelo per rendere “ragionevoli” e “comode” le sue formule dinamiche, privi di quella fame e sete di giu­stizia che è la linea più marcata del volto di Cristo».

Per queste colpe avevano contribuito ad aprire la strada «agli equivoci in cui si è chiamata autorità la dittatura, prudenza i silenzi inspiegabili sulla violazione di ogni diritto di Dio e dell'uomo e si è definita cattolica una scuola che aveva Gentile per filosofo, D'Annunzio per eroe, un maestro di gin­nastica o un corridore per despota».

Per trentacinque anni questo giornale ha avuto la fortuna di essere diretto da quel prete giornalista che univa in sé due qualità raramente compatibili e presenti nella medesima persona: una vasta cultura (teologica, letteraria, filosofica, storica) continuamente alimentata con una curiosità intellettuale insaziabile; e un entusiasmo creativo che lo spingeva a fare senza soste, accavallando fatiche di ogni genere, fino a chiedere alla propria robusta fibra fisica sacrifici che per molti altri sarebbero stati intollerabili. E naturalmente alle spalle di questa intensissima vita c'era una fede senza limiti, senza riserve, senza dubbi, pronta a compensare ogni delusione, ogni speranza caduta, ogni carità di giustizia non ricevuta.

La redazioneQuesta è stata la scuola vivente che don Carlo Chiavazza ha istituito per il suo giornale, allevandovi decine di giovani per un mestiere particolarmente disagevole: quello di giornalisti cattolici, impegnati a rimanere tali anche quando la vita li portava verso altri lidi, a farsi onore per competenza, onestà, autonomia di giudizio nelle cose opinabili e sicurezza in materia di fede.

Dopo la sua morte, la fedeltà al suo insegnamento è stata la nostra regola. Per nove anni il giornale è stato diretto con grande autorevolezza da Domenico Agasso, nato alla professione nella stampa cattolica («La Voce del Popolo», «Il popolo nuovo») e maturato nell'esperienza di importanti settimanali («Epoca», di cui giunse a essere direttore, e «Famiglia Cristiana», di cui fu redattore capo).

Dal 1990, da chi scrive queste note e che ebbe la grande fortuna di cominciare la propria esperienza giornalistica, da ragazzo, sotto la guida di don Chiavazza.

Come siamo stati per sessant’anni, così vogliamo continuare ad essere per tutto il tempo che la Provvidenza vorrà riservarci, in una successione di generazioni che anche oggi assicura a «il nostro tempo» un gruppo fervido di giovani entusiasti, capaci, meritevoli della stima dei lettori e dell'autorità religiosa a cui spetta la responsabilità ultima di questo giornale.

L'unità dei cattolici nel valori (anche dopo l'amara, colpevole fine della loro unità politica) la loro "audacia" evangelica (ravvivandola dove si fosse addormentata), il servizio all'umanità nel segno della giustizia e della pace continueranno ad essere gli scopi di questa fatica, come ci è stato comandato 60 anni fa.

Beppe Del Colle



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